La scarsa presenza di donne ai vertici della Pubblica Amministrazione è cosa nota, ma la crudezza dei dati della ricerca condotta dalla Rete Armida, che riunisce donne dirigente pubblico, magistrate, docenti universitarie, diplomatiche e funzionarie di Banca d’Italia e Authority, e illustrata nei giorni scorsi al Convegno “Conciliazione vita-lavoro e valorizzazione delle competenze”, pur fornendoci una fotografia molto colorata di azzurro rivela una inversione del trend all’interno del’ANM (Associazione Nazionale Magistrati) in cui “lo stallo di genere” pare essersi sbloccato, grazie al meccanismo delle quote di genere “di risultato” del 30%, che, introdotto per le elezioni del febbraio 2012, ha portato nel direttivo centrale dell’ANM 12 donne (33%) su 36 membri di giunta. Con un effetto trascinamento per i componenti la Giunta esecutiva, eletta dal Direttivo senza quote di genere, che registra la presenza del 56% di donne (5 su 9 componenti). Un effetto imitativo pare si sia avuto nelle elezioni dei Consigli Giudiziari che ha accresciuto fino al 39% la percentuale di elette (122 donne su un totale di 309) per gli anni 2012-2014.
Il meccanismo è efficace nel correggere gli squilibri di genere. Funziona. Basta solo adottarlo in tutti i settori, comparti e organi pubblici restanti su cui i dati richiedono di intervenire. Il CSM, a fronte di una base elettorale pressoché equiripartita fra i generi, si inchioda a due sole donne (8%) su 24 membri elettivi.
A fronte di un numero doppio di donne (217) rispetto agli uomini, (108) vincitrici nell’ultimo concorso in Magistratura, sono presenti negli incarichi giudicanti direttivi con il 17% e semi direttivi con il 28% e addirittura in meno sono presenti negli uffici requirenti con l’11% in posizione direttiva e il 14% nei semidirettivi.
Il cahier de doleance continua con i dati della dirigenza generale ed apicale dello Stato centrale: su 370 dirigenti generali, solo 132 (36%) sono donne e delle 44 posizioni di dirigente apicale, sono solo 10 (23%).
Le percentuali sono ben al di sotto della media presso il Ministero degli Esteri, dell’Agricoltura, delle Infrastrutture e Trasporti e dell’Ambiente (in quest’ultimo non c’è neanche una donna dirigente). In molti Ministeri pur registrandosi basse percentuali di donne nei ruoli apicali, si hanno donne Segretario Generale (massima posizione apicale) al Ministero dei Beni Culturali, del Lavoro e delle politiche sociali, mentre presso la Presidenza del Consiglio troviamo una percentuale del 40% di donne in tali ruoli e prossima al 50% al Ministero dell’Economia.
Di converso su 910 diplomatici solo 198 sono donne e solo 2 con incarico di ambasciatore mentre gli uomini sono 34. Dati simili si hanno nelle carriere universitarie con solo il 20% di donne ordinario, il 34% associate e 45% ricercatrici e dulcis in fundo i dati sui rettori donna, solo il 6% e il 14% sono presidi di facoltà.
Un quadro più deprimente viene fuori dal panorama delle nomine degli Enti Pubblici dove nessuna donna siede nei board di Eni, Enel, Anas, Poste Italiane, Finmeccanica, Fintecnica e Ferrovie dello Stato, per fortuna questa loro monolitica composizione da agosto cambierà, grazie alla legge Golfo-Mosca sulle quote nei CdA.
Questo nostro Paese ha dunque bisogno di scosse salutari che questi correttivi degli squilibri stanno provocando. La loro adozione non è una battaglia solo delle donne ma di tutti e tutte perché il danno economico, sociale e culturale della sottoutilizzazione dei talenti femminili ricade sull’intero sistema.
In allegato il prospetto con il rapporto donne/uomini in magistratura