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Femminicidio alla ribalta in vista delle elezioni

'In prossimità del voto, la politica si accorge del dramma: si moltiplicano le iniziative di legge: ma c''è chi vuol risolvere e chi vuol soltanto punire. Di [Luisa Betti]'

Femminicidio alla ribalta in vista delle elezioni
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24 Novembre 2012 - 10.39


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Mai come quest’anno si parla di femminicidio alla vigilia del 25 novembre, “giornata mondiale contro la violenza sulle donne” indetta dall’Onu nel 1999. Per fare solo un esempio, l’anno scorso le inziative erano scarse e con pochissimo eco sulla stampa, e sebbene i numeri fossero già consistenti, in pochi ci occupavamo delle donne uccise in casa. Quest’anno invece l’addensarsi di eventi, inziative, interventi, anche sulla stampa e in tv, ha catapultato il femminicidio al top dell’attualità – a partire dall’uso del termine stesso – coinvolgendo anche il mondo politico: un mondo che almeno fino a poco tempo fa sembrava indifferente a questa mattanza e che invece alla vigilia delle elezioni si è svegliato per non perdere l’occasione dell’ondata di indignazione riguardo a un problema su cui associazionismo e società civile lavorano da anni.

Un’eco che ha spinto il governo a firmare (finalmente) la Convenzione europea di Istanbul contro la violenza sulle donne e contro la violenza domestica, e ha spinto alcune parlamentari a mobilitarsi: ieri l’on. Rosa Villecco Calipari (Pd) ha fatto un’interpellanza sul femminicidio chiedendo al governo dati ufficiali e cosa stia facendo per combattere il fenomeno; la senatrice Anna Serafini (Pd) ha presentato un disegno di legge per contrastare il femmincidio, e due giorni fa le on. Giulia Bongiorno (Fli) e Mara Carfagna (Pdl) hanno chiesto un inasprimento delle pene. Ma mentre quelle di Serafini (ddl 3390) sono “Norme per la promozione della soggettività femminile e per il contrasto al femminicidio”, Bongiorno e Carfagna (ddl 5579) chiedono “Modifiche agli articoli 576 e 577 del codice penale, in materia di circostanze aggravanti del reato di omicidio, e introduzione dell’articolo 612-ter, concernente l’induzione al matrimonio mediante coercizione”.

Ma andiamo per ordine e ripercorriamo la strada con almeno un anno di fatti: cosa ci porta fin qui? Malgrado il lavoro che da anni portano avanti le associazioni anti-violenza, la spinta decisiva è arrivata l’anno scorso dalla Piattaforma Cedaw, costituita da diverse ong italiane che hanno prodotto un lavoro dettagliato sulla condizione delle donne italiane portandolo alle Nazioni unite a New York e mettendo nero su bianco tutto ciò che in Italia non si è fatto nell’applicazione della Convenzione per l”eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, pur ratificata dal nostro paese tanti anni fa. Un incontro, quello che si è svolto con l’associazionismo italiano al Palazzo di vetro, che ha dato avvio a un approfondimento sul “caso Italia” (c’era ancora Berlusconi) con la visita dell’inviata speciale Onu sulla violenza contro le donne, Rashida Manjoo, che a sua volta ha prodotto raccomandazioni al nostro paese in materia di violenza.

Nello stesso tempo, a maggio del 2011, è stata stilata a Istanbul la Convenzione europea contro la violenza domestica, firmata da diversi paesi (noi siamo stati gli ultimi) ma ratificata solo dalla Turchia: un importante documento che indica punti precisi di contrasto alla violenza di genere a partire dalla prevenzione e dalla tutela delle donne. Una testo che per entrare in vigore deve essere ratificata dall’Italia e da altri 9 paesi – di cui 8 membri del Consiglio d’Europa – anche se qualsiasi altro Stato del mondo può aderire.

Da questo “movimento di idee” sulla violenza contro le donne è partita anche una campagna delle giornaliste (GiULiA) che hanno incominciato a produrre riflessioni sull’argomento, individuando che il femminicidio non va ridotto a semplice cronaca nera e che per fare buona informazione occorre conoscere meglio questo fenomeno.
Sull’ondata di indignazione per le donne uccise in modi spesso truculenti e con movente di genere – su cui Elsa Fornero, ministra con delega alle pari opportunità, è stata interpellata più volte dalle ong, senza risposta (anche se poi è andata a firmare la Convenzione di Istanbul) – è partita un’azione comune dei centri antiviolenza italiani che insieme ad altre realtà hanno deciso, diversi mesi fa, di lavorare alla Convenzione No More! chiedendo politiche attive con punti essenziali e la ratifica immediata della convenzione di Istanbul, trasferendo su un piano pratico le raccomandazioni Onu e chiedendo non solo adesioni esterne ma un incontro con il governo Monti per una revisione immediata del piano antiviolenza varato dalla ex ministra delle pari opportunità Mara Carfagna, ed evidentemente inadeguato. Carfagna, che ha avuto il merito di indire i bandi per finanziare i centri antiviolenza il giorno prima della fine del suo mandato (bandi rimasti poi bloccati per mesi), e che ha fatto approvare nel 2009 la legge sullo stalking, non è riuscita però ad andare al nocciolo del problema: sia perché le donne uccise con movente di genere invece di diminuire sono aumentate, sia perché nei fatti spesso i reati di stalking non sono ritenuti poi così gravi nei tribunali; e ora, proponendo in coppia con Giulia Bongiorno la pena dell’ergastolo, dimostra di non aver mai avuto chiaro il problema. Ciò che le due deputate
propongono è infatti l’aggravante nell’articolo 576 del Codice penale (omicidio), per punire con l’ergastolo chi uccide “in reazione a un’offesa all’onore proprio o della famiglia di appartenenza o a causa della supposta violazione, da parte della vittima, di norme o costumi culturali, religiosi o sociali ovvero di tradizioni proprie della comunità d’origine”, lo stesso quando l’omicidio è preceduto da anni di maltrattamenti, e l’introduzione del “matrimonio forzato” come reato.
Come detto da più parti, il femminicidio non si combatte punendo “di più” l’autore ma con politiche mirate a risolvere il problema alla radice, agendo anzitutto sulla cultura e sugli stereotipi che la governano.

Vittoria Tola, responsabile dell’Udi e promotrice della Convenzione No more!, spiega che “quella di Bongiorno e Carfagna è un’altra proposta espressione di una destra che non vuole risolvere ma reprimere, con una legge che non serve a nulla. Lo sanno che già un terzo degli uomini che uccidono poi si suicidano? a chi lo diamo questo ergastolo?” L’obiettivo della lotta contro la violenza sulle donne è fare in modo che al femminicidio non si arrivi, e far capire che i rapporti intimi non si giocano sulla violenza. “Contrariamente alle destre che vogliono punire senza analisi – spiega Tola – noi vogliamo politiche concrete perché il problema è strutturale, politico, e si basa su stereotipi culturali, per cui l’aggravante di pena non risolve nulla; è un imbroglio pensare che il problema si possa risolvere così. La donna che cerca aiuto che se ne fa di un marito che sta in galera tutta la vita, quando lei è morta? La violenza non è un qualcosa che si risolve con la pancia, ma con la testa e con investimenti mirati a prevenire la violenza e a tutelare le donne prima che vengano uccise; usare il 25 novembre – conclude Tola – per lanciare una legge repressiva, dopo tutto il lavoro che abbiamo fatto sul femminicidio anche come No More!, è un meccanismo banale”.

Ma c’è di più, perché in realtà i punti del ddl 5579 derivano da indicazioni contenute proprio nella Convenzione di Istanbul ma interpretate in maniera non corretta, perché – come fa notare Elisabetta Rosi, magistrata e consigliera alla Corte di cassazione – “per la Convenzione di Istanbul la causa d’onore come scusante del femminicidio deve essere eliminata, e quindi più che punire con l’ergastolo i delitti legati all’onore, bisogna ribadire che l’onore non è un attenuante, anche se da noi non serve perché in Italia il delitto d’onore non c’è più dall’81”. Per Rosi estrapolare questi punti dalla Conveznione di Istanbul senza tutto il contesto della Convenzione stessa non ha senso, dato che “il diritto penale ha certo un ruolo per combattere la violenza, ma un ruolo sussidiario. E anche se è importante che al centro dell’agenda politica si parli di femminicidio – continua Rosi – direi che la prima cosa da fare sia promuovere Istanbul nella sua interezza con le tre P (prevenzione, protezione e punzione, ndr) messe nel giusto ordine, perché punire va bene ma prima bisogna cercare di prevenire il reato. E la Convenzione europea si propone di migliorare le relazioni interpersonali tra uomo e donna, con un lavoro a monte e non a valle”. Come i matrimoni forzati che per il ddl 5579 devono essere reato, mentre per la Convenzione di Istanbul devono essere considerati “invalidabili, annullati o sciolti” (art.32).

Per Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato, “il femminicidio che vede le donne vittime di mariti, compagni, fratelli, amanti ed ex, ha profonde cause culturali che vanno contrastate non solo con il diritto penale, ma attraverso la prevenzione, il sostegno ai centri antiviolenza, la promozione di una cultura del rispetto del corpo femminile, il riconoscimento del reale valore e del ruolo che le donne hanno già assunto nella società”, quindi indicazioni che vadano a incidere prima che la donna divenga vittima.
Per dirla tutta, anche se i tempi stringono e più che una legge occorrono politiche attive, bisogna riconoscere che almeno la senatrice Anna Serafini ha avuto il buon gusto e l’intelligenza di interpellare le associazioni che lavorano sulla violenza, stilando un disegno di legge articolato – anche con modifiche in materia penale ma mirate – che possono essere prese in considerazione in una discussione sul contrasto al femminicidio, mentre quella della coppia Bongiorno-Carfagna ricorda tristemente quel che fu fatto con il delitto di Giovanna Reggiani (stuprata e uccisa nel 2007 alla periferia di Roma) sulla cui pelle furono varate le leggi in materia di pubblica sicurezza con espliciti riferimenti contro i cittadini extracomunitari.

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