‘Ci si prepara al Natale e per il cinema l”occasione è talmente ghiotta che neanche un fuoriclasse come Antonio Albanese ci ha voluto rinunciare. E così, a quasi due anni dall”uscita di Qualunquemente ed ancora per la regia di Giulio Manfredonia, arriva l”attesissimo [i]Tutto tutto, niente niente[/i] che prova a raccontarci “l”osceno che ci circonda”. Vale a dire i cambiamenti del nostro Paese attraverso le mutazioni antropologiche di alcuni personaggi, modello ed espressione di questa realtà, e ormai armamentario dell”ultra ventennale carriera del grande attore brianzolo di origini siciliane. Torna il rozzo politicante Cetto La Qualunque, dunque, e lo spinellaro hippy Frengo Stoppato mentre la new entry è affidata allo scafista veneto Rodolfo Favaretto che commercia in migranti e sogna la Secessione con annessione all”Austria.
Stavolta, però, a differenza di Qualunquemente che altro non era che la gag televisiva di Cetto La Qualunque sbrodolata per il grande schermo, l”attore sembra aver voluto puntare molto più in alto. Un”ambizione in parte realizzata grazie ad una maggiore unità di racconto e nonostante una trama esagerata e situazioni al limite del grottesco. Il tutto condito da una tale esplosione di scenografie, costumi e location che faranno di sicuro fruttare lustro e quattrini alla nuova pellicola, in uscita il 13 dicembre.
Peccato che il film riproduce – purtroppo – alcuni degli stereotipi più abusati da una certa filmografia quando deve rappresentare una donna. E lo standard è sempre lo stesso sia che si tratti dell”ultimo lavoro di un grandissimo artista come Antonio Albanese (autore del soggetto e della sceneggiatura) o del classico cinepanettone natalizio: una donna-merce, oggetto sessuale, corpo da macelleria. Una donna, come al solito, meglio definita – testuale dal film, in una scena con Cetto – troiona. E se per descrivere un certo mondo della politica il ricorso alle escort sembra quasi inevitabile (Berlusconi docet), appare meno congruo giocare ed insistere con il medesimo luogo comune anche nel caso della moglie del razzista Olfo, rigorosamente abbigliata con indumenti sud tirolesi o qualcosa del genere la quale, sola e stufa di guardare la tv, (finalmente) si porta a letto tre fustacci di colore, ovvero i migranti clandestini con cui il marito traffica – dice lui – per affrontare la crisi. O con quello della mamma e della sorella di Frengo, tutte chiesa e acquasantiere. Come a confermare un doppio, ulteriore cliché: le donne? Tutte sante o puttane, meno mia madre e mia sorella.
Alla presentazione del suo lavoro, una conferenza stampa allestita al Nuovo Sacher con il folto cast – tra cui Fabrizio Bentivoglio e Lunetta Savino – e gremita di giornaliste e giornalisti, abbiamo posto la domanda ad Antonio Albanese. Alla quale l”attore ha così risposto: ”Sono molto legato a questi temi ed è proprio per il grande rispetto che ho per le donne che io denuncio tutto questo. I tre sono personaggi negativi, ridicoli, non sono dei gladiatori. Per me, anzi sono l’opposto. Io la penso come lei, assolutamente, ma forse di più. Proprio per questo mi sono impegnato a rappresentare queste mostruosità. E l’idea di un uomo capace di queste azioni purtroppo esiste. Forse io sono aggressivo, lo so, ma è un mio modo di denunciare questi comportamenti che trovo inauditi. Le assicuro che io non amo Cetto, Cetto è una rappresentazione completamente diversa da me, completamente negativa come lo sono Frengo, e Favaretto che rappresenta una fauna che io odio totalmente. Per me è sottinteso che l’idea che una donna non possa attraversare una piazza perché viene anche solo derisa, è una cosa che mi fa impazzire, mi manda in tilt”.
Il punto però è che, secondo noi, riproducendo senza contrapposizioni sempre lo stesso stereotipo, si rischia di perpetuarlo. Che è ciò che è successo e succede alla nostra Cultura. Vi risulta che in una qualunque commedia non si faccia ricorso sempre, ineluttabilmente, alle strafigone sculettanti senza testa né pensieri? A noi pare che da quel modello lì, in Italia, non si esce. Ed è un peccato perché anche stavolta, una delle migliori teste pensanti della nostra cultura – l”artista/operaio, regista di tre film con una regia pure alla Scala, autore di decine di testi teatrali, scrittore di sei libri – si è persa un”occasione. Un”attenzione di genere che, forse, avrebbe anche giovato al suo film.
Ci duole, infine, riportare per dovere di cronaca che Lunetta Savino – nel film madre di Frengo ossessionata dal miraggio di far diventare suo figlio beato – alla nostra richiesta e alla risposta di Albanese, non ha battuto ciglio. Rispondendo, più tardi, amabilmente, ad una domanda sul suo personaggio ed a quanto sia stato piacevole lavorare con Albanese. Lunetta è tra le fondatrici di Snoq, Se non ora quando, insieme alle sorelle Comencini. Ci dispiace che sia andata così. ‘