Se lei uccide lei. È femminicidio?

'Marilena Ciofalo usciva con un''altra. Forse per questo la sua compagna le ha sparato due colpi di pistola, mentre dormiva. Un film, purtroppo, già visto. Di [Adriana Terzo] '

Se lei uccide lei.  È femminicidio?
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18 Marzo 2013 - 18.19


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Marilena Ciofalo è la 15a donna uccisa dall’inizio del 2013 all’interno di una relazione intima, colpita a morte nel sonno da due colpi di pistola perché, probabilmente, aveva scelto di cambiare partner. Ammazzata, dunque, perché – ancora una volta – percepita non come una donna libera di affermare le proprie aspirazioni, ma come una cosa di proprietà privata. L’ennesimo femminicidio, ci verrebbe da dire. Di una strage che non cessa di turbarci, ogni volta. Uomini, ex compagni o fidanzati, incapaci di articolare il loro stare al mondo perché culturalmente arcaici, travolti dal più barbaro e devastante gesto per risolvere il loro senso di abbandono.

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Ma stavolta il turbamento è stato più inquietante degli altri. Perché ad assassinare Marilena, 34 anni, da Agrigento, è stata un’altra donna, Angela Toni, di un anno più grande, da Gualdo Tadino in provincia di Perugia. Le due giovani donne convivevano da circa un anno in un bilocale a Gussago, in provincia di Brescia. Ex barista ora disoccupata, la vittima, operaia in una fabbrica di materie plastiche a Rodengo Saiano, l’assassina. I pochi dettagli delle cronache dei giornali di questi giorni – il fatto è accaduto nella notte tra sabato e domenica 10 marzo – raccontano di persone riservate, poche conoscenze in paese, giudizi lusinghieri su Marilena dai datori di lavoro. Litigavano, sì, come tutti. Negli ultimi tempi di più perché Angela aveva scoperto che Marilena frequentava un’altra ragazza. Come? Grazie alle tracce di alcune conversazioni in chat rimaste sul suo computer portatile. E così si è comprata una pistola, una Beretta calibro 7,65. Ora non risponde alle domande del giudice e resta in carcere a Brescia perché “c’è il pericolo di reiterazione del reato” come riferiscono le laconiche carte giudiziarie.

Fermiamoci un momento. Non possiamo dire con certezza che questo sia il primo caso del genere che succede in Italia, ma certamente siamo di fronte ad un episodio raro, per quel che si riesce a ricordare. E, proprio per questo, proviamo ad alzare il velo su domande difficili cui forse occorrerebbe rispondere senza retorica.

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Prima domanda: c’è violenza di genere anche tra le lesbiche? Sì, stando ai fatti purtroppo c’è, e occorre affermarlo proprio per tutelare coloro che vi si trovano coinvolte, e per non lasciarle sole. Infatti, se è difficile denunciare anni e anni di botte e vessazioni di mariti o padri violenti, forse è altrettanto difficile farlo all’interno di relazioni omosessuali in una società, la nostra, ancora pesantemente omofobica. “Le coppie lesbiche non sono certo idilliache e senza macchia – ha spiegato Cristina Gramolini, della segreteria nazionale di Arcilesbica, in un”intervista a Repubblica – ma sicuramente, anche dall”esperienza dei nostri centri di aiuto, la violenza fisica all”interno delle coppie di donne è piuttosto rara. È un cattivo esempio di imitazione della normalità. Attenzione – ha detto ancora – a non usare questi episodi per equiparare le violenze, quella tradizionale maschile verso la partner e quella all”interno delle coppie lesbiche. Non vorrei che in nome di alcuni casi si dia la sensazione che la violenza sia insita in tutti i rapporti di coppia e che nulla cambia tra la coppia tradizionale, in cui predomina la guida maschile, e una situazione diversa”.

Quest’ultima affermazione ci dà l’agio di porre la seconda domanda: possibile che donne e ragazze lesbiche assumano gli stessi atteggiamenti e gli stessi stereotipi maschilisti che tanto danneggiano le donne all’interno di coppie eterosessuali? Perché no. Non è un mistero che siamo imbevute della stessa cultura che nutre i nostri carnefici. Pensate a quant’è difficile far capire proprio alle donne l’utilità di usare un linguaggio femminilizzato e non sessista! Spiegare e far capire loro che farsi chiamare architetta o avvocata se questa è la loro professione, ancorché rimarcare l’uso corretto della nostra lingua, significa dar loro visibilità in una società che scientemente fa di tutto per oscurarci, soprattutto nelle mansioni più qualificanti. Sugli atteggiamenti da maschio, ricordo, tanti anni fa, quando militavo nel gruppo femminista La Mimosa, che durante i nostri piccoli tour in giro per la capitale a rappresentare uno spettacolino teatrale che avevamo messo su con testi e musiche scritte da noi, c’erano compagne dei vari collettivi che non disdegnavano di darci smanacciate sul sedere o di avventurarsi in approcci molto ravvicinati. Figurarsi: ma chi ci pensava alla violenza di genere fatta da donne verso altre donne? Oggi, però, abbiamo la maturità per poter dire che la violenza sulle donne è violenza da qualunque parte provenga.

Terza domanda: possiamo parlare di femminicidio nel caso di Marilena? Sappiamo che questo fenomeno – perché di un aberrante fenomeno, politico e sociale, si tratta – corrisponde a certe caratteristiche: è trasversale, è diffuso in ogni parte del mondo, prevede un pregresso di violenza da parte dell’uomo sulla donna che può durare anni e un contesto sociale e culturale in cui domina il modello patriarcale nel quale il femminicidio viene usato come forma ultima di punizione e controllo sociale. Inoltre, che è la principale causa di morte violenta per le donne tra i 16 e i 44 anni, come ci ricorda Rashida Manjoo, relatrice speciale delle Nazioni Unite per la violenza contro le donne.

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L’abbandono è un tarlo, e dopo la rottura nei primi tre mesi il rischio per le donne che abbandonano è più alto. In questo lasso di tempo – rileva lo studio Eures Ansa Il femminicidio in Italia nell’ultimo decennio. Dimensioni, caratteristiche e profili di rischio – avviene quasi la metà (il 47,2%) degli assassinii dell’ex partner”. Li chiamano femminicidi del possesso e conseguono generalmente alla decisione della vittima di uscire da una relazione di coppia: a tale dinamica sono da attribuire ben 258 femminicidi tra le coppie separate (nel 93% dei casi per i quali si dispone di tale informazione), ed in 109 casi tra le coppie ancora unite in cui si manifesta l’intenzione. Non ci piacciono i numeri perché sono freddi e senza anima anche se ci possono rivelare tante cose. E questi ultimi – che si riferiscono agli ultimi tre anni in Italia – ci dicono che dobbiamo fare in fretta. [Adriana Terzo]’

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