Cosa significa cambiare la cultura? La cultura non è un corpo estraneo, la cultura siamo noi e si può cambiare solo partendo da noi, con una consapevolezza e una conoscenza che permetta di rintracciare stereotipi nascosti nelle pieghe profonde della società. La Convezione di Istanbul oltre a condannare “ogni forma di violenza sulle donne e la violenza domestica”, ricononsce che il raggiungimento dell’uguaglianza è un elemento chiave per prevenire la violenza. Riconoscendo “la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere”, la Convenzione riconosce che “la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette a una posizione subordinata rispetto agli uomini”. Ma oltre a dare indicazioni di tipo giuridico, questa Convenzione insiste molto sulla prevenzione e sulla protezione attuabile attraverso una fitta e articolata rete di sostegno per le donne, ma soprattutto chiarisce quanto l’elemento culturale sia fondamentale, nel senso che si possono fare le migliori leggi del mondo ma se non cambia la testa le leggi possono anche rimanere inapplicate, come già succede in Italia e come sottolineato dalla Special Rapporteur dell’Onu, Rashida Manjoo, nelle sue raccomandazioni al nostro Paese.
Detto ciò, non rimane che riflettere su come tali indicazioni siano implementabili in relazione ai media italiani, ma soprattutto rispetto all’informazione di giornali, telegiornali, speciali e programmi d’informazione tramite stampa, tv e web. Un’informazione che, qualora non venga data in maniera corretta, può procurare anche distorsioni e danni, in quanto nella formazione dell’opinione pubblica, dell’immaginario collettivo e nel sostegno degli stereotipi comuni, l’informazione tramite stampa, tv e web ha un ruolo fondamentale. Quando ho cominciato a monitorare l’informazione italiana con un “occhio di genere”, e occupandomi già di violenza su donne e minori, ho visto che malgrado in Italia l’80% della violenza fosse violenza domestica e malgrado la maggior parte degli autori di femmicidio fossero membri maschi della famiglia italiana (mariti, fidanzati, ex o partner respinti), di cui solo il 10% con problemi psichici accertati, si parlava sempre di “raptus, infermità mentale, gelosia, delitto passionale, stress dovuto al lavoro o alla perdita del lavoro”, e si tracciava un profilo della donna che ricalcava stereotipi comuni, quasi a suggerire una complicità della donna stessa la quale, avendo provocato, tradito, esasperato, respinto l’uomo, si era ritrovata uccisa.
Quando si trattava di un’uccisone dopo una lunga serie di maltrattamenti gravi in famiglia, nei giornali spesso il titolo riportava un’attenunate psichiatrica dell’autore e di solito il background culturale nell’illustrazione dei fatti, richiamava agli stereotipi femminili. Ma chi informa deve essere informato e non può prescindere da una formazione e una preparazione adeguata su temi che non sono di serie B, e che non possono essere improvvisati, soprattutto se si tratta di professionisti dell’informazione, come siamo appunto noi giornalisti e giornaliste. Ed è da qui che è cominciato il lavoro della rete delle giornaliste che avendo fatto tesoro di diversi input, hanno prodotto buone pratiche nei giornali in cui lavoravano, e hanno cominciato a dare un diverso rilievo al fenomeno non solo usando la parola “femminicidio”, ma creando una specie di osservatorio sul trattamento di tali argomenti.
Risolvere il problema culturale anche attraverso una corretta informazione, è il nodo: ma lo dobbiamo fare da sole continuando a punzecchiare direttori e caporedattori? Io farei un passo in più perché vorrei che in questo momento gli uomini che ricoprono ruoli decisionali in questo contesto e che sono la maggioranza (ma anche le donne seppur meno), scegliessero di ascoltarci prendendo in seria considerazione la possibilità di cambiamenti profondi che coinvolgano il tessuto stesso dell’informazione mediale, attraverso il recepimento di uno strumento eccezionale come è la Convenzione di istanbul, nella sua interezza. La violenza maschile contro le donne non è un fenomeno né nuovo né solo italiano, e i dati dell’Onu ci dicono che nel mondo 7 donne su 10 subiscono violenza nel corso della vita, e che 600 milioni di donne vivono in nazioni che non considerano questa violenza un reato: una violazione di diritti umani planetaria. Le donne oggi sono l’avanguardia di un profondo cambiamento culturale che farà bene a tutti e che porterà vantaggi all’intera società e alle nuove generazioni, maschi o femmine che siano.