“Vent’anni fa ho partecipato a un concorso per entrare in Rai perché mia mamma mi aveva iscritto. Io non ci credevo, non pensavo sarei mai entrata ma poi ci sono andata per non deluderla. E ora sono arrivata qui”. Grande mamma, viene da dire, se quella ragazzina è ora diventata Monica Maggioni, la recente nuova presidente della Rai, a cui Giulia fa naturalmente gli auguri di buon lavoro, invitandola presto a un incontro con noi.
Maggioni l’11 settembre scorso era a Camogli al Festival della Comunicazione a discutere di come si costruiscono le classi dirigenti in Italia. Con lei ha parlato, tra gli altri, Federico Ghizzoni, l’amministratore delegato di Unicredit che ha spiegato con chiarezza che oggi una delle possibilità per le aziende (in Italia non ancora ben valorizzata) è puntare sulle diversità, tutte le diversità, a partire da quelle di genere, ma non solo.
Ferruccio De Bortoli, come era ovvio, ha subito girato la domanda a Maggioni: come farai valere la differenza di genere dirigendo la Rai, il servizio pubblico per eccellenza? L’ex inviata di guerra si è fatta scivolare addosso la domanda sul genere e si è messa a discutere di servizio pubblico e del suo ruolo nel terzo millennio. Ero fra il pubblico e speravo in qualche illuminante discorso su donne e potere oppure sul ruolo delle donne nell’arricchire con le proprie caratteristiche le classi dirigenti. In fondo lei ha fatto un bel percorso, potrebbe condividerlo, portarlo nello spazio pubblico e farne un esempio, un caso su cui ogni donna ambiziosa possa confrontarsi. Nulla di tutto questo e devo ammettere che un po’ me lo aspettavo: accade infatti spessissimo che le donne che raggiungono un posto di prestigio non vogliano assolutamente essere riportate a parlare di genere, di appartenenza sessuale, come se questo le sminuisse e le riconducesse in una marginalità dalla quale si sono a fatica emancipate.
È la stessa ragione per cui molte non vogliono farsi chiamare ministra. Domenica scorsa ha debuttato su Radio 24 alle 10 di mattina Maria Latella con la sua nuova trasmissione Nessuna è perfetta. Il titolo spiega che la brillante giornalista ritiene una fregatura (lo ha detto in diretta ben due volte) il fatto che noi donne ci stressiamo fino allo stremo per dimostrare di essere in grado di fare tutte le cose che fanno i maschi ma senza rinunciare ai compiti (domestici!) delle donne. Torno a ministra, che è il titolo con cui Latella, dopo aver esaltato le doti di comando e rigore di Angela Merkel e della regina Elisabetta d’Inghilterra, ha chiamato giustamente Roberta Pinotti. La ministra della Difesa ha risposto a Latella che le chiedeva come si fa a comandare bene che “bisogna affrontare il rischio della sconfitta. Noi donne dopo una sconfitta torniamo al privato più facilmente degli uomini. Io quando ho perso le primarie nella mia città, Genova, sono ripartita con più lena”.
Grazie a Pinotti per il consiglio, almeno lei non si è sottratta. E grazie a Maria Latella che ha dedicato la seconda parte della trasmissione a parlare con esperti di due temi: come si fa a uscire da un’educazione che ti insegna che essere ambiziosa è un disvalore. E come si fa a chiedere un aumento di stipendio, pratica in cui tuttora le donne non eccellono.
Ultimo quesito. Valentina Vezzali non parteciperà il 26 al convegno romano organizzato da Luisa Garribba Rizzitelli per sanare una disparità tra le atlete e gli atleti: le sportive italiane infatti non possono diventare professioniste e la condanna al dilettantismo ha per loro grossi costi economici e simbolici. La schermitrice più valorosa d’Italia ha rifiutato l’invito. Perché? Davvero è perché non sono previsti rimborsi spesa? O forse è semplicemente disinteressata e non ha tempo. Ma si dà il caso che sia anche deputata. Non sarebbe allora politicamente corretto che Vezzali prendesse pubblica posizione sulla vicenda del dilettantismo obbligatorio? È atleta e politica eletta in Parlamento: abbiamo bisogno di stare negli spazi pubblici, credo sia uno dei problemi attuali delle donne. Solo da lì si può cominciare a dettare l’agenda ai politici, a fare opinione, a contare.