Vittima di violenze poco più che 18enne aveva avuto un aborto spontaneo in una toilette all’aperto alla 32esima settimana, nemmeno sapendo di essere incinta.
Le autorità – intervenute dopo il ritrovamento del feto senza vita nella fossa settica – non hanno però creduto alla versione di Evelyn Beatriz Hernandez e l’hanno incriminata per infanticidio, accusandola di aver voluto l’aborto.
Il tribunale l’ha poi condannata a 30 anni di carcere (l’accusa ne aveva chiesti 40) finché a febbraio 2019, 33 mesi dopo la condanna, si è ritornati davanti al giudice. Il procedimento – diventato un evento mediatico nazionale e internazionale – era stato riaperto per mancanza di prove.
L’assoluzione, giunta oggi, è stata accolta con entusiasmo dalle donne salvadoregne e non solo. «Il giudice è stato giusto», ha commentato la difesa, «ha deciso che non ci sono prove che indichino un intento criminoso e quindi ha optato per l’assoluzione».
El Salvador è uno degli Stati dell’America centrale in cui vige il divieto d’aborto che può essere punito con la detenzione dai 2 agli 8 anni, e nei casi più gravi – quelli in cui la donne finiscono in ospedale in seguito a complicazioni che portano alla morte del feto – dai 30 ai 40 per omicidio aggravato.
«È una vittoria per i diritti delle donne di El Salvador», ha commentato Erika Guevara-Rosas di Amnesty International, «è un precedente per tutte quelle che vengono accusate di infanticidio anche se in realtà hanno sofferto di un’emergenza ostetrica».