Montanelli, lo stupro e i giornalisti che minimizzano

Alzata di scudi bipartisan legittima lo sfruttamento di una dodicenne pur di difendere il buon nome di un giornalista e scrittore. Una difesa di cui non si sente il bisogno. [di Laura Berti]

Montanelli, lo stupro e i giornalisti che minimizzano
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Laura Berti Modifica articolo

15 Giugno 2020 - 23.04


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Prima di iniziare partiamo da un presupposto: imbrattare statue è un esercizio inutile ed esecrabile. Bene. Chiarito questo punto fondamentale, c’è da esprimere uno sconcerto e un’indignazione enormi. E qui non si tratta di fare processi a giornalisti /scrittori scomparsi, ma cercare di comprendere perché la questione femminile passi sempre e comunque in secondo piano.

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Destà, dai capelli al sego di capra

Ma partiamo dal principio. Sull’onda dell’indignazione per l’omicidio avvenuto negli USA dell’afroamericano George Floyd, un gruppo studentesco milanese ha imbrattato la statua di Indro Montanelli con vernice rossa e la scritta “razzista”. Questo perché Montanelli nel ‘36 , volontario nella guerra d’invasione dell’Etiopia, a 26 anni sposò ( “regolarmente sposata comprandola dal padre” parole testuali di Montanelli) una ragazzina di 12 anni. “Aveva 12 anni, in Africa è così. Mi portava biancheria pulita”. Ma erano unioni utili non solo a questioni di lavanderia. Chiariamo che questi “matrimoni” erano visti di buon occhio dai Comandi Militari per evitare che i soldati frequentassero prostitute locali rischiando malattie sessualmente trasmissibili.

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Fra l’altro la ragazzina di nome Destà, sposata da Montanelli, era infibulata. Il che colora la vicenda di tinte ancora più scure. Montanelli racconta : “Faticai molto a superare il suo odore, dovuto al sego di capra di cui erano intrisi i capelli, e ancor di più a stabilire con lei un rapporto sessuale perché era fin dalla nascita infibulata: il che oltre che opporre ai miei desideri una barriera pressoché insormontabile (ci volle per demolirla, il brutale intervento della madre), la rendeva del tutto insensibile”.

Aggiungiamo che la ragazzina , insieme alle altre donne “spose” del contingente militare, che presumibilmente si spostava con mezzi di vario genere, era costretta ad affrontare periodicamente chilometri e chilometri a piedi, in mezzo al nulla per portare biancheria pulita ai “mariti” e soddisfare le loro esigenze sessuali.

Questa la storia.

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Tutti testi alla difesa

Intentare a Montanelli un processo nel 2020 sarebbe fuori tempo, inutile ed inefficace. Ciò che lascia basite sono invece i commenti di colleghi di grande d’esperienza e qualità che tendono oggi a minimizzare quanto è accaduto derubricando come “usanza” del tempo e del luogo la compravendita di una ragazzina per farne di fatto una schiava a tutto tondo.

Un’alzata di scudi bipartisan che legittima lo sfruttamento di una dodicenne pur di difendere il buon nome di un giornalista e scrittore del calibro di Montanelli.

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Una difesa di cui non si sentiva il bisogno e che prescinde da una serie di considerazioni:

  1. l’età della ragazzina (lo stesso Montanelli nel programma “L’ora della verità” del ‘69 dice che la ragazzina aveva 12 anni)
  2. Il “matrimonio” era una specie di leasing: durava finchè il militare era in Etiopia, poi la sposa era ceduta a qualcun altro. (La “moglie” di montanelli fu ceduta ad un generale che la inserì nel suo harem e poi venne sposata da un militare eritreo che era stato agli ordini del giornalista.) Insomma alla stregua di una capra o di un mulo.
  3. Le condizioni abominevoli cui erano sottoposte le poverette: chilometri a piedi e con il peso della biancheria pulita dello sposo con la prospettiva di sottoporsi ai desideri sessuali del marito del momento.                                                                                                                        

Le schiave di ieri, il sessismo di oggi

Insomma si trattava di schiave. E qui il razzismo entra solo nel fatto che in Europa un trattamento del genere non sarebbe stato accettabile, ma in Africa sì. Il problema però è più vasto. E’ la visione maschilista che pur di fare quadrato e non sporcare la memoria di un giornalista minimizza quanto avvenuto, minimizza stupri, pedofilia, razzismo e riduzione in schiavitù.

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Il fatto che si trattava di ragazzine infibulate ( con quanto ne consegue nei rapporti sessuali, per dirne una), che dunque davano la garanzia di verginità e di essere libere da malattie sessualmente trasmissibili 

 

E francamente, più che per Montanelli, di cui conosciamo la formazione, e che ha ammesso i fatti, brucia e indigna il minimizzare dei colleghi di oggi su eventi tanto drammatici  e che porta il sigillo del sessismo oltre che del razzismo. E affermare che non si trattava di atti razzisti perché come è stato detto ieri “ i matrimoni misti fra italiani e donne indigene erano il contrario del razzismo… le leggi razziali che hanno poi vietato i matrimoni misti per non mescolare il sangue…” appare improvvido e sinceramente fuori luogo. Perché anche qui si va oltre l’abuso di una ragazzina infibulata e la considerazione del sesso femminile come inferiore pur di affermare che al tempo e in quei luoghi era qualcosa di “normale”.

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Non c’è nulla di normale in tutto questo e queste difese maldestre di Montanelli più che preservarne la memoria, a nostro avviso,  non solo la sporcano, ma sotto il profilo del rispetto e dei diritti delle donne, ci riportano indietro di decine e decine di anni. 

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