Paralimpiadi, molte medaglie per le atlete azzurre, giornali distratti e le solite polemiche

Si sono chiuse le Paralimpiadi con tante medaglie azzurre, qualche polemica di troppo e poca attenzione da parte dei giornali italiani

Paralimpiadi, molte medaglie per le atlete azzurre, giornali distratti e le solite polemiche
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Caterina Caparello e Elena Miglietti Modifica articolo

10 Settembre 2024 - 22.06


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Paris est une fête. Il titolo della cerimonia di chiusura dei Giochi Paralimpici di Parigi non poteva essere più adatto, la vera festa dello Sport è stata quella degli atleti impegnati nelle ultime settimane che hanno restituito lo spirito giusto di come provare, anche solo per poche ore, a essere davvero spensierati. Quella di domenica è stata la vera Festa mobile di Ernest Hemingway, lontana dai paludati tentativi simbolici e allegorici, che tante polemiche hanno sollevato a fine luglio per l’apertura dei Giochi Olimpici: lo Stade de France, con i suoi 64.000 posti, era gremito, ulteriore conferma dell’interesse che le gare accendono (si calcolano oltre due milioni di telespettatori) per rendere salutare questi atleti e questa edizione con un numero record di Comitati Paralimpici Nazionali partecipanti e le prime medaglie in assoluto per la Squadra Paralimpica dei Rifugiati. La prima in assoluto è stata il bronzo di Zakia Khudadadi, nata in Afghanistan e prima atleta afghana di taekwondo femminile.

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A Parigi 2024 l’Italia ha superato persino i fasti di Tokyo 2020: la delegazione azzurra chiude al sesto posto con 71 medaglie in tutto, 24 d’oro. Non era mai successo prima. Per il nuoto è stato un trionfo assoluto, con gli italiani in piscina terzi al mondo (37 medaglie, 16 ori).

Fra linguaggio e polemiche

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A dimostrazione che passi avanti se ne stanno facendo, i Giochi Paralimpici registrano un netto miglioramento in termini di narrazioni, soprattutto per quanto riguarda i network stranieri. Superata la tendenza a infantilizzare le atlete e gli atleti con la trita retorica degli eroi, finalmente il gesto atletico e i risultati sono stati raccontati con la giusta determinazione, con alcune curiosità che in questo contesto hanno trovato una postura equilibrata. Tuttavia è nel nostro paese che si fa fatica a trovare spazio per il racconto dello sport paralimpico: nonostante gli ottimi risultati a darne contezza sono stati soprattutto i social, mentre la stampa ha tendenzialmente dimenticato l’evento. Sarà materia per gli osservatori che vedono GiULiA giornaliste partecipare, dare il dettaglio anche di questo aspetto.  In generale non ci si è soffermati troppo a lungo su patologie o eziologia degli incidenti che hanno colpito gli atleti, anche se gli articoli sull’incidente di Ali Truwit, nuotatrice americana attaccata da uno squalo, continuano a registrare picchi di visualizzazioni, così come l’affaire Petrillo.

La polemica delle polemiche

Per molti giorni la questione Valentina Petrillo è stata convitato di pietra di molti in TV e soprattutto sui social. Prima l’affaire delegazione: 141 per l’Italia, per le fonti ufficiali 71 atlete e 70 atleti; per i tg e la stampa italiana 70 atlete e 71 atleti. Quell’inversione non fa ben pensare, ma le polemiche sono arrivate ben più forti dei numeri e in maniera gratuita, con una cattiveria che non si può giustificare. Petrillo ha scritto un pezzo di storia azzurra, è infatti la prima atleta transgender ad aver gareggiato in una Paralimpiade (400 e 200 metri) e ha potuto farlo perché c’è un regolamento rigoroso che prevede questa possibilità. Su di lei si sono scatenati commenti d’odio violenti, sui social sono rimbalzati attacchi rivolti alla sua persona, alla sua vita privata. Abbiamo letto di tutto, millantatori della teoria gender, pseudo femministe terf e personaggi di fama internazionale che, dal cantuccio delle loro vacanze estive hanno attaccato l’atleta azzurra. Lo ha fatto addirittura J.K Rowling che non ha solo commentato, ha addirittura insultato Valentina Petrillo con il termine chet, imbrogliona, paragonandola a Lance Armstrong. Peccato che il ciclista texano sia stato squalificato a vita per doping violando ogni regolamento, la nostra atleta non ha imbrogliato e tanto meno obbligato nessuno per correre. Facciamo nostre le parole di Capovolte Edizioni (www.capovolte.it) che pubblicherà a novembre l’autobiografia di Valentina Petrillo, una storia umana e sportiva che deve essere di esempio e di ispirazione per tantə giovani che oggi non vedono un futuro e vivono nell’ombra. Il suo sogno realizzato su quella pista lilla di Parigi non ha valore solo di per sé, ma per tutte le persone trans che sono state invisibilizzate e marginalizzate. «Lotto contro tutto l’odio che accompagna la vita delle persone come me – dice Petrillo – nel mondo ancora si muore per il solo fatto di essere trans. Io incarno due diversità, la disabilità e l’essere trans e spero che attraverso il mio messaggio si possano finalmente normalizzare questi fenomeni e non avere più paura». Già, le persone, tutte le persone. E dire che J.K Rowling aveva inventato uno sport senza genere.

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Tokyo 69, Parigi 71: le atlete sempre in testa

Sono numeri che riempiono il cuore di gioia. Numeri che fanno capire la bravura, il talento e l’amore di atlete e atleti che per quattro anni si allenano per poter competere nella più importante manifestazione sportiva del mondo. E le donne? Continuano a vincere.

Per la delegazione azzurra 24 ori, di cui 11 femminili: Carlotta Gilli (due ori), Giulia Ghiretti, Monica Boggioni, Oney Tapia, Elisabetta Mijno, Assunta Legnante, Giada Rossi, Xenia Francesca Palazzo, Giulia Terzi e Martina Caironi.

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15 argenti, di cui 6 femminili: Carlotta Gilli (due bronzi), Veronica Yoko Plebani, Francesca Tarantello, Assunta Legnante, Martina Caironi, Sara Morganti.

32 bronzi, di cui 21 femminili Vittoria Bianco, Angela Procida, Monica Boggioni (due bronzi), Carlotta Gilli (due bronzi), Alessia Scortechini, Daila Dameno, Giulia Terzi (tre bronzi), Sara Morganti, Elisabetta Mijno, Xenia Francesca Palazzo, Beatrice Vio Grandis (due bronzi), Ana Maria Vitelaru, Andreea Mogos, Carlotta Ragazzini, Loredana Trigilia, Monica Contrafatto.

Medaglie al collo delle atlete che realizzano dei sogni. Sogni che sembrano impossibili ma che, invece, rendono le loro imprese possibili. Per chiunque. Il senso dei Giochi Olimpici e Paralimpici viene espresso a 360°: puoi compiere qualsiasi impresa perché ne hai la forza e il diritto. E sono le parole delle stesse protagoniste come Bebe Vio Grandis, sul sito Olympics, a fare la differenza: «Sappiamo di avere il potere di provare a dire qualcosa. Sappiamo che ogni punto qui, alle Paralimpiadi, potrebbe essere un punto con cui possiamo smuovere le persone, se un piccolo ragazzo con una disabilità sta guardando la televisione in quel momento specifico, guardando quel singolo punto. Possiamo letteralmente scuoterle e dire loro: ‘Ok, lo sport è bello, è sano, è fantastico’. È qualcosa di così bello e vogliamo che quante più persone possibili si spingano un po’ di più».

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