Addio "Sororité", il sogno olimpico è già svanito con il governo Bernier a sesso unico | Giulia
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Addio "Sororité", il sogno olimpico è già svanito con il governo Bernier a sesso unico

Meno di un mese dopo le Olimpiadi della sorellanza, a Parigi nasce un governo dove le donne sono tenute, letteralmente, in sala d'attesa. E le femministe protestano.

Addio "Sororité", il sogno olimpico è già svanito con il governo Bernier a sesso unico
Foto di Pedro Lastra su Unsplash
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Alessandra Mancuso Modifica articolo

6 Ottobre 2024 - 17.21


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All’apertura dei giochi olimpici la “Sororitè” ci ha fatto sognare. La Francia di Olympe de Gouges e Simone de Beauvoir, patria di tutte. Celebrazione delle grandi di Francia e delle stesse Olimpiadi, finalmente della Parità.

Scusate, abbiamo sbagliato. Altro che patria di sorellanza. Appena due mesi dopo, ecco che torna il “boys’club” di Macron. Un segnale della “grande finzione”, a essere sincere, c’era già in clima olimpico. Lo sdegno, sprezzante, col quale il presidente francese, aveva rifiutato di prendere in considerazione il nome della candidata premier, Lucie Castets che era riuscito a unire la frastagliata sinistra del Nuovo Fronte Popolare, e che poi ha guidato la delegazione nelle consultazioni all’Eliseo, sulla base del fatto che «il NFP non ha la maggioranza». Era il 23 luglio.

Sappiamo come è andata a finire: il 20 settembre l’incarico è andato a una vecchia volpe della politica, Michel Barnier, dei Repubblicani, partito dal 6%, che guida il governo più a destra degli ultimi 12 anni: lotta al matrimonio omosessuale, proposte transfobiche, opposizione alla costituzionalizzazione dell’interruzione di gravidanza, divieto di terapie di transizione per le persone LGBTQI+. Un governo connotato per la sua opposizione all’uguaglianza dei diritti, le cui sorti – in caso di mozione di censura all’Assemblea nazionale – sono appese ai voti di Marine Le Pen. Ben lieta che agli Interni ci sia un ministro (Bruno Retailleau) contro lo Stato di diritto e l’immigrazione. Un governo che tutti si aspettano cada presto. Le femministe intanto hanno proclamato due giornate di mobilitazione il 19 ottobre in sostegno delle vittime di stupro (grande impressione sta suscitando il processo agli stupratori di Mazan) e il 23 novembre.

Un bel cambio di prospettiva dall’incantevole cerimonia di apertura che celebrava i diritti delle donne (e pazienza per la decapitata Maria Antonietta). 

Forma e sostanza. La forma è quella che ha fatto da involucro alla nascita di questo governo, in spregio ai risultati elettorali: il 19 settembre, a Matignon (sede del governo), sotto l’egida di Barnier si svolge la riunione “decisiva” per la spartizione dei dicasteri. Ci sono i rappresentanti dei partiti del “campo presidenziale” e i Repubblicani. Nove uomini. Solo uomini. Un unico modo per attenuare l’effetto: il MoDem (partito di centro) invita in extremis la Segretaria generale del partito, Maud Gatel, che alla fine giunge a Matignon per unirsi alle trattative. E’ accertato, stando alle cronache di Mediapart, che abbia passato i controlli di sicurezza da Rue Varenne, ma giunta alla porta della riunione “decisiva” viene pregata di pazientare in sala d’attesa. Dove la convenuta rimane fino alla fine della riunione.

Forma e sostanza. La composizione del governo riflette questo contesto al 100% maschile: parità formalmente rispettata, ma i posti di potere e prestigio sono occupati da uomini. E la questione dell’uguaglianza tra uomini e donne, citata tra le grandi cause dei due quinquennati di Macron, retrocessa – nell’architettura dei governo – da Ministero delegato a semplice Segretariato di Stato. Non più allegato a Matignon (sede del governo), come in passato, ma posto sotto la tutela del ministro della solidarietà, dell’autonomia e dell’uguaglianza tra uomini e donne, Paul Christophe. Ancora un uomo.

Al Segretariato di Stato, per di più, va una gollista, Salima Saa, di cui le femministe francesi denunciano la totale mancanza di esperienza e impegno tali da giustificarne la nomina.

In Italia, si dirà, un film già visto. Ma almeno noi non cantiamo “sorelle d’Italia”.    

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