Settimana dal 31 maggio al 5 giugno: Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Giornale, Il Messaggero, Domani, Il Fatto quotidiano, Avvenire, il Sole 24 ore, Il Manifesto più uno sguardo sul web
Firme in prima pagina: 578 uomini/ 157 donne
Edtoriali in prima pagina: 87 uomini/ 21 donne
Interviste: 136 uomini / 58 donne
La foto che abbiamo scelto per illustrare la nostra rassegna non esiste, ma abbiamo messo insieme il volto di due donne sorridenti: una è Anna Iberti, immortalata nella famosa foto di Federico Patellani per celebrare il due giugno, festa della Repubblica, di cui molto si è parlato sui giornali in chiave femminile, partendo dal discorso del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha ricordato il ruolo delle donne e ha permesso così alle redazioni di impaginare album con le foto delle citate (Lina Merlin, Nilde Iotti, Liliana Segre, Tina Anselmi, Luana D’Orazio, la giovane operaia stritolato da un macchinario e Samantha Cristoforetti ). L’altra foto è di Saman Abbas, la ragazza pakistana probabilmente uccisa dai parenti a Novellara perché non si voleva sottomettere ad un matrimonio forzato. La sua storia ha suscitato orrore ma anche un dibattito che intreccia femminismo e attenzione ai temi sociali e all’immigrazione. Due foto che raccontano una promessa di diritti e una realtà di diritti negati, forse un po’ facile ma ci è venuta così.
Il due giugno delle donne
In questo 75esimo anniversario della Repubblica molti giornali si sono spesi sul tema del riscatto delle donne e delle promesse, appunto, non mantenute in termini di parità di genere. Tra le cose belle l’intervista di Simonetta Fiori su Repubblica a Teresa Vergalli, 93 anni, nome di battaglia Annuska, combattente della brigata Garibaldi, che il 2 giugno dle 1946 non aveva l’età per votare ma insegnava alle donne emozionatissime e preoccupate come si compilava la scheda, facendo le prove, soprattutto con le analfabete. Un’altra 90enne, Luciana Castellina intervistata da Mirella Serri su La Stampa fa un bilancio in chiaro scuro ma rimette nelle mani delle donne le speranze per il futuro: «Abbiamo lasciato deperire la Costituzione. Attualmente le donne sono alla testa di una rivoluzione che si batte contro questa deriva. Cruenta purtroppo. I femminicidi si spiegano anche con la volontà di fartacere le richieste femminili di una nuova libertà e indipendenza». Su Domani Chiara Paris della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli racconta quando 75 anni fa è stata cancellata la “legale presunzione di incapacità” delle donne. E ricorda che il voto ha dato alle donne il potere di dire “no” e rivendicare gli altri diritti.
Ragazze ribelli
Il diritto di dire no non è stato garantito a Saman, che aveva rifiutato un matrimonio forzato fino a denunciare i genitori, per poi sparire nel nulla. Secondo Giuliana Sgrena, che scrive sul Manifesto sulla sua scomparsa e sugli altri casi di donne sparite, uccise o costrette a matrimoni forzati e infibulazione, c’è un’incapacità della sinistra a prendere posizione su questi temi. Stessa cosa dice Nadia Bouzekri, vicepresidente dell’Unione delle comunità islamiche sempre sul Manifesto, anche secondo lei “Dalla sinistra troppo silenzio”. L’Ucoii ha fatto una Fatwa contro matrimoni forzati e infibulazione che raccoglie commenti positivi trasversali tranne che da Karima Moual: sulla Stampa sottolinea come in realtà bastino le leggi italiane e contesta il fatto che per i musulmani è ancora nella realtà vietato sposare non musulmani e questo è il vero tabù da scardinare. Sul Messaggero in prima pagina la foto di Amani el Nasif, una donna siriana che, appena ragazzina riuscì a sfuggire ad un matrimonio combinato dai suoi. Tante botte, non solo dai parenti, ma pure dal promesso sposo. La storia sua, fortunatamente a lieto fine, è stata raccontata per la prima volta da Cristina Obber, nel libro “Siria mon amour” edizioni Piemme. Valeria Arnaldi, che firma il servizio ci racconta un po’ di storie di queste ragazze coraggiose e ribelli. Su Avvenire Maurizio Ambrosini sottolinea come: «il caso Saman dovrebbe accendere una spia su quanto sia importante nel progettare il rilancio del Paese lavorare per superare sperequazioni e collocare la questione dell’integrazione tra le priorità su cui investire con lungimiranza».
Anche se con molta più leggerezza una storia di integrazione difficile è quella raccolta da Emanuela Audisio su Repubblica che intervista Danielle Madam, 24 anni, arrivata dal Camerun a 7 anni, una vita in casa famiglia, atleta medagliata in lancio del peso che non ha potuto indossare la maglia azzurra perché non le veniva riconosciuta la cittadinanza, fino d un mese fa. Si sta laurando e intanto la vedremo in tivù a commentare gli Europei di calcio.
La Cina è vicina
Anzi le cinesi che sono vicine alle italiane nella loro scarsa propensione a fare figli. Così Pechino dopo aver abbandonato da tempo la politica del figlio unico, ora spinge non solo per il secondo ma per il terzo: all’orizzonte incombe l’incubo del tracollo demografico, con un tasso di fertilità di 1,3 figli per donna (in Italia è 1,27) sotto il 2,1 che previene altrimenti l’inevitabile declino, come mostrato dall’ultimo censimenti. Lo spiega bene tra gli altri un articolo di Cecilia Attanasio Ghezzi sulla Stampa del primo giugno con tanto di grafici dove si scopre che da quando nel 2016 è entrata in vigore la politica dei due figli la curva demografica è paradossalmente crollata. Perché? Tra i commenti riportati «Sono un prodotto del figlio unico e devo prendermi già cura dei miei genitori, dove trovo le energie per crescere più di due figli?». La Cina pensa a convincere le donne a fare più figli, con incentivi per ora non meglio specificati ma le femministe cinesi si sono arrabbiate: «Le donne non sono solo il loro apparato riproduttivo, le loro decisioni non possono sottostare ad alcun interesse nazionale». Una posizione riassunta bene dal demografo Alessandro Rosina in un commento sul Sole 24 ore del 2 giugno che parla di nemesi storica della politica del figlio unico, con gli effetti sull’invecchiamento della popolazione e la riduzione della quota di popolazione fertile. «Se può essere efficace una politica che impone di non avere figli molto più complessa è quella che mira a favorire la scelta libera di averne di più. Si tratta di un tema che diventerà sempre più sensibile nel rapporto tra democrazia e demografia».
I conti demografici non tornano nemmeno per noi, come ben sappiamo e come illustra Bankitalia in un dossier che la Stampa del 3 giugno titola a tutta pagine “Allarme nascite” dove si dice che la pandemia ha avuto effetti limitati e quello che conta è il crollo della natalità assieme al calo dei flussi migratori che produrrà nel 2065 ben 3 milioni di lavoratori in meno. Per il demografo Massimo Livi Bacci e il sociologo Domenico De Masi la soluzione più rapida più che incentivare la natalità sarebbe aprire le porte all’immigrazione. Cosa non facile in quella che sempre di più diventa la fortezza Europa: questa settimana si è distinta la Danimarca che ha votato una legge che delocalizza fuori dall’Unione Europea i centri per i suoi richiedenti asilo zero, di fatto deportati in paesi come Egitto o Ruanda. A volere a tutti costi questa legge la leader socialdemocratica (sic) Mette Frederiksen. Forse per smontare lo stereotipo delle donne più accoglienti. Ne ha parlato soprattutto Avvenire.
Ma la questione demografica è al cuore anche delle misure del governo: tutti i giornali il 5 giugno hanno dato grande enfasi all’assegno ponte per i figli annunciato dal governo, con la ministra Elena Bonetti intervistata un po’ dovunque. Divertente l’involontario siparietto della Stampa: intervistato per commentare il provvedimento il sociologo Giuseppe De Rita, a quanto pare d’accordo con le femministe cinesi, dice che non bastano i soldi e incentivi per fare più figli ma ci vuole una visione del futuro che non c’è e secondo lui non è vero che le donne sono costrette a lasciare il lavoro per i figli, se mai li rimandano, ma è smentito poche pagine più avanti dall’intervista alla nuova capodipartimento malattie infettive dell’Iss Anna Teresa Palamara che dice ormai ci sono sempre più ragazze nel mondo della ricerca ma molte lasciano perché senza asili spendono più di quello che guadagnano in baby sitter.
Le altre lei
Maria Novella De Luca su Repubblica racconta la storia di Ludovica Gentilini, 16anni, ragazza trangender che ha avviato il suo percorso di transizione sorretta dalla famiglia e in generale dagli adulti ma con tutte le difficoltà del caso, compreso il bullismo dei compagni. Il tema è anche quello dell’utilizzo molto controverso dei farmaci bloccanti della pubertà che vengono somministrati in 8 centri specializzati in Italia per permettere una scelta più consapevole. Assuntina Morresi docente di chimica fisica e nel comitato nazionale di bioetica si dice contrarissima per la salute dei ragazzi. Sul tema anche un commento della filosofa Michela Marzano che partendo dalla storia di Ludovica cerca di scardinare i timori e i pregiudizi legati alla presunta ideologia gender che la lobby lgbt vorrebbe portare negli asili attraverso la legge Zan: varie generazioni, conclude Marzano, sono uscite indenni dalla visione di Lady Oscar (cartoon giapponese molto in voga negli anni ‘80 su una ragazza cresciuta come un maschio, gender fluid ante litteram).
Rai nella tempesta
Lo scrive bene il primo giugno su La Stampa la direttora dell’Istat Linda Laura Sabbadini: Rai uno manda in onda ogni giorno una pillola con il ritratto di una donna che ha segnato la nostra storia repubblicana. Bello. Poi però sempre Rai uno manda in onda la trasmissione condotta da Carlo Conti Top 10 dove due squadre di vip, donne e uomini devono indovinare che cosa le donne fanno meglio degli uomini. I concorrenti arrischiano: lavorare, studiare. Invece no. Le opzioni sono litigare, mentire, cucinare. Solita roba. Molte le critiche sui vari giornali.
Eva contro Eva
Un classico senza tramonto: il Giornale in un commento di Patricia Tagliaferri titola “Lo scontro tra toghe rosa”. Ma fa meglio la Stampa che in un pezzo di Lodovico Poletto sullo scontro tra le magistrate della tragedia del Mottarone parla a proposito della pm Olimpia Bossi del «lato dolce della sua personalità di donna, mamma e magistrato inquirente», mentre la giudice Donatella Banci Buonamici è “un magistrato riservato e deciso” dalla chioma rossa. «Donne diverse, storie simili. E non è che una sia meglio e l’altra peggio». Boh.
Cose dell’altro mondo
L’Avvenire del 3 giugno racconta degli stupri usati come armi nel conflitto Etiope. In 7 mesi oltre 500 abusi. Fonti locali umanitarie hanno denunciato violenze su bambine di 8 anni che hanno riportato danni permanenti. E 5 suore tigrine sono state rapite e violentate nel nord del paese. Sotto accusa i soldati inviati dall’Eritrea.
Non vanno bene le cose nemmeno in Europa orientale cone denuncia la scrittrice polacca e premio Nobel Olga Tokarczuk in un’intervista al Corriere, che sottolinea come la pandemia abbia indebolito le proteste delle donne contro la legge che ha proibito l’aborto in Polonia, e continuanoi duri attacchi alla comunità Lgbt, mentre l’Europa sta a guardare. Una lentezza segnalata anche dalla leader dell’opposizione bielorussa Svetlana Tikhanovskaya su Repubblica.
Infine, evviva la regina Vittoria
Giunta al’ottavo parto, la regina Vittoria scoprì le meraviglie dell’ anestesia e anche del successivo nono figlio si sgravò da addormentata. Invece da noi permane la convinzione che il parto naturale debba per forza essere associato al dolore. Lo racconta la filosofa Caterina Zanfi su Domani del 3 giugno che spiega come l’epidurale, molto diffusa all’estero, in Italia è utilizzata pochissimo, a causa della carenza di anestesisti, ma anche per una cultura che non è colpa della chiesa cattolica, secondo cui il parto indolore non contraddice la morale, ma piuttosto del movimento del parto naturale (nato nel dopoguerra) che ebbe grande successo in ostetricia e tra le donne stesse come riappropriazione della propria indipendenza. Paradossi.
Imparare la declinazione
Non siamo state ad enumerare le volte in cui nello stesso giornale e a volte nella stessa pagina riferito alla stessa persona abbiamo gli incarichi al maschile e al femminile buttati a caso. La grammatica non è un’opinione.