Lea Schiavi, la giornalista antifascista uccisa nel 1942 che l'Italia ha dimenticato

La storia dimenticata di una giornalista antifascista, Lea Schiavi, assassinata il 24 aprile del 1942 a soli 35 anni nell’Iran del nord, non lontano da Tabriz.

Lea Schiavi, la giornalista antifascista uccisa nel 1942 che l'Italia ha dimenticato
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Stefanella Campana Modifica articolo

3 Maggio 2022 - 12.57


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Il 3 Maggio, Giornata mondiale della libertà di stampa, è anche  la Giornata nazionale dell’informazione Costruttiva indetta dal movimento Mezzopieno. GIULIA è tra gli enti promotori insieme a un centinaio di enti. Un’adesione di GIULIA motivata dai suoi obiettivi, soprattutto per un’informazione corretta e rispettosa dell’immagine e della realtà delle donne, contro discriminazioni e stereotipi. Un giornalismo non androcentrico, ma attento a una paritaria rappresentazione delle differenze. Impegnato a dare il giusto spazio alle donne nella società, nel giornalismo. Il nostro contributo per questa giornata è  dare visibilità alla storia di una giornalista, Lea Schiavi, assassinata il 24 aprile del 142  a soli 35 anni nell’Iran del nord, non lontano da Tabriz. Ignorata e dimenticata nel suo Paese.

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Un omicidio rimasto impunito di una giornalista italiana che ogni anno, dal 1996, al Freedom Forum Journalists Memorial del Newseum di Washington, quando si ricordano le migliaia di corrispondenti di guerra uccisi nell’esercizio del proprio lavoro, è lei la prima reporter donna a essere nominata. Successe già nel programma televisivo americano They live forever “Vivono per sempre”, poco dopo la sua uccisione.  «Ma per il suo Paese, per l’Italia, è invece come se non avesse vissuto, come fosse mai esistita» , scrive Massimo Novelli, scrittore e giornalista torinese che dopo ottant’anni dalla sua scomparsa fa rivivere, attraverso accurate ricerche, la sua vita avventurosa e coraggiosa nel libro “Il caso Lea Schiavi. Indagine sull’omicidio di una giornalista antifascista”  (Graphot Editrice).

Chi  conobbe Lea Schiavi, nata a Borgosesia,  la descrive come una donna che aveva paura di niente, spavalda, coraggiosa, schietta, che sapeva ridere di cuore, molto indipendente, ma soprattutto sinceramente antifascista. Non aveva potuto seguire gli studi perché nel 1923 a soli 16 anni aveva lasciato  la famiglia per essere libera. Per un po’ di tempo è a Torino dove lavora in un negozio di dolciumi, poi a Milano dove c’è il fratello Giovanni, impiegata in una farmacia.  Sognava di diventare giornalista e ci riesce. Muove i primi passi a Milano come critica teatrale, poi autrice di due galatei moderni. Negli anni Trenta, in tempi non certo facili per le donne e ancor più nel mondo del giornalismo, riesce a trovare spazio in media dell’epoca prestigiosi.  I suoi articoli apparivano in diversi giornali come il quotidiano L’Impero e rotocalchi come l’Ambrosiano,  il Milione di Cesare Zavattini,  Omnibus fondato da Leo Longanesi . E’ pure collaboratrice di Tempo, nuovo settimanale della Mondadori. Approda poi a Roma, la città dove le si spalancano molte opportunità, per lei che scrive molto di cinema. Ma è anche sempre più  consapevole del baratro in cui l’Italia e l’Europa stanno per precipitare col fascismo e il nazismo. E certe sue “libertà” non passano sotto silenzio. In un resoconto della polizia c’è chi aveva  riferito che seduta al ristorante Bagutta con alcuni colleghi «la signorina Schiavi definì il Duce un muratore e il Fuhrer un imbianchino». 

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Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, nel 1939, la ritroviamo inviata, un’eccezione per quei tempi,  nei Balcani, poi a Bucarest, Sofia e Belgrado dove scrive reportage molto interessanti. I suoi articoli passano al vaglio della censura fascista ed è sempre più tenuta d’occhio dal SIM (servizio segreto militare). Dall’Italia parte un mandato di arresto e viene privata del passaporto. Lea Schiavi sarà sempre più attiva nell’impegno antifascista e aderisce al Free Italy Movement, in contatto con gli italiani di Radio Londra. Compie diversi viaggi  in Turchia, Siria, Iran, Kurdistan, Azerbaigian, aree geopolitiche turbolenti anche per la presenza di giacimenti petroliferi e occupate dalle truppe britanniche e sovietiche. Il suo ultimo reportage è dall’Iraq, uscito postumo dopo il suo assassinio  tra le montagne dell’Azerbaigian da parte di sicari curdi. 

Un delitto impunito. Novelli ricostruisce con dovizia di documenti e giornali la situazione politica complicata in quell’area geografica. Chi impartì l’ordine di ucciderla? Agenti nazifascisti? I sovietici?  Il marito Burdett, che Lea sposò a Sofia e che negli anni Cinquanta ammise di essere stato comunista e spia dell’Unione Sovietica, accusò come mandante il colonnello dei Carabinieri Ugo Luca, funzionario dello spionaggio fascista. Alla presenza di testimoni per due volte disse di essere stato lui l’organizzatore dell’uccisione di Lea, ma poi un testimone lo smentì al processo. Ugo Luca era stato nel Kurdistan proprio nel 1942. Dopo l’8 Settembre si sarebbe avvicinato alla Resistenza e per l’omicidio di Lea Schiavi fu prosciolto dal Tribunale di Roma. 

Dopo Lea Schiavi sono tantissime le giornaliste  morte in scenari di guerra, vittime collaterali, come Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutuli che però non sono state dimenticate. Merito di Massimo Novelli è aver ricostruito l’avvincente e tragica storia di Lea Schiavi per non farla cadere nell’oblio. Lea Schiavi è stata un’antesignana della donna libera, fuori dagli schemi che il fascismo riservava alle donne. Da sola ha realizzato i suoi sogni e con coraggio ha dato il suo contributo alla battaglia per la libertà, contro il fascismo. Merita essere conosciuta e non dimenticata, come troppe altre donne di valore.

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