Cambiare il racconto della violenza di genere si può: lo dicono i dati dell'Osservatorio Step | Giulia
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Cambiare il racconto della violenza di genere si può: lo dicono i dati dell'Osservatorio Step

Presentati ieri i dati del primo anno di lavoro dell'Osservatorio Step, voluto dalle Cpo e da GiULiA con la Sapienza, che ha analizzato 50mila articoli per vedere a che punto è il racconto della violenza di genere. Le cose migliorano ma non abbastanza

Cambiare il racconto della violenza di genere si può: lo dicono i dati dell'Osservatorio Step
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28 Novembre 2024 - 13.37


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Marito, carcere, processo, stuprare. Vicino a donna, vittima, uccidere, moglie. La strada verso il racconto corretto della violenza di genere, e della rappresentazione non stereotipata della donna nell’informazione, è ancora lunga ma dei femminicidi si parla di più e se ne parla meglio. Lo racconta, nel suo rapporto sui primi dati dell’Osservatorio Step la presidente e sociologa della Sapienza Flaminia Saccà, che ha guidato il gruppo di lavoro di docenti, ricercatori e ricercatrici nell’analisi di 50 mila articoli pubblicati tra il 2020 e il 2024 su 25 testate nazionali. Analisi condotta anche con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale.


I risultati dell’analisi di Step sono stati presentati il 27 novembre nella sede della Federazione della stampa italiana, nel corso dell’evento “Le parole sono fatti” organizzato dalla Commissione pari opportunità Fnsi in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Erano presenti anche la segretaria e il presidente della Federazione della Stampa, Alessandra Costante e Vittorio Di Trapani e la presidente della Commissione di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, che ha ricordato l’importanza della lotta anche per la violenza economica, Martina Semenzato.

L’Osservatorio STEP

Un passo indietro: l’Osservatorio STEP è un osservatorio nazionale e indipendente sulla rappresentazione sociale della violenza maschile alle donne nel racconto dei media e sul Manifesto di Venezia. Nasce da un accordo non oneroso di collaborazione scientifica tra il Dipartimento di Psicologia dei processi di sviluppo e socializzazione della Sapienza Università di Roma e la Commissione Pari Opportunità (CPO) della Federazione Nazionale della Stampa, la Commissione Pari Opportunità (CPO) del Consiglio Nazionale Ordine dei Giornalisti, la Commissione Pari Opportunità (CPO) dell’USIGRAI, l’associazione GiULiA (GIornaliste Unite LIbere Autonome), il Dipartimento di Economia, Ingegneria, Società e Impresa (DEIM) dell’Università degli Studi della Tuscia. E segue il lavoro del progetto Step che aveva analizzato 16.715 articoli di giornale in materia di violenza di genere, su tre anni. Silvia Garambois, ex presidente di GiULiA e ideatrice insieme a Saccà del progetto ha ricordato come l’Osservatorio si ponga come completamento del lavoro fatto con la stesura del Manifesto di Venezia nel 2017: dal vademecum all’analisi dei dati. «Ci serviva analizzare in modo scientifico quello che avveniva sui nostri giornali a partire da quelle premesse, se e come cambiava quel racconto».

Da sinistra, Serena Bersani, Veronica De Riu, Vittorio DI Trapani, Paola Spadari, Mara Pedrabissi, Martina Semenzato, Alessandra Costante, Mimma Caligaris, Luigia Ierace, Antonella Mariotti, Monica Pietrangeli.

«Il femminicidio di Giulia Cecchettin è stato uno spartiacque non solo nella sensibilità civile, nella lotta femminista, nella storia italiana ma, anche, nel giornalismo del nostro Paese – ha spiegato Saccà – Nell’ultimo anno è stato fatto un passo avanti nel modo in cui si parla di violenza di genere e di femminicidi nei media, anche se c’è ancora tanto da fare».
Resta fermo che «sulla stampa si fa ancora fatica a puntare il dito verso l’uomo violento e anche se non troviamo quasi più scritte parole come raptus, resistono i suoi equivalenti ma c’è un miglioramento rispetto alla prima fase dell’osservatorio» dice ancora la sociologa.
«Il principale reato contro le donne sono i maltrattamenti in famiglia (il 50% di quelli denunciati), mentre il 35,83% è costituito da atti persecutori, il 13,86% da violenze sessuali e lo 0,29% da femminicidi – ha detto ancora Saccà – ma le violenze domestiche restano più sottotraccia rispetto ai femminicidi».
Dall’analisi di Step emerge infatti che trova più spazio il femminicidio (22,2%), seguito dalla violenza sessuale (19,4%), violenza domestica (17,8%), le lesioni personali (15,9%), lo stalking (5,8%), le molestie sessuali (2,9%), il revenge porn (2,4%), e la tratta (1,6%). Cambia anche il modo in cui se ne scrive, dato che ci sono più articoli non strettamente di cronaca che affrontano il tema ma ci sono analisi, interviste, inchieste.

I modelli narrativi

Nei titoli il virgolettato è quasi sempre dell’aggressore o di chi lo difende, il che favorisce una forma di ‘himpathy‘, ovvero l’empatia nei confronti dell’uomo. Nel caso del maltrattante, di solito si parla del suo ruolo professionale o della provenienza, mentre per la vittima ricorre la caratterizzazione anagrafica. La testata che riporta più di frequente reati contro le donne è Il Messaggero, quella a raccontarne di meno è il Secolo d’Italia.

La vittimizzazione terziaria e le immagini

«Le donne rischiano di essere vittime tre volte: della violenza subita, dello spostamento dell’obiettivo sulla vittima e non sul maltrattante, come definito nel 2006 dal Consiglio d’Europa, e terziaria quando denuncia e non ottiene ragione, si minimizza il fatto, e la relazione con il maltrattante-ha spiegato ancora Saccà –Nonostante la cultura pietistica italiana, si fatica a empatizzare con le vittime».
«La descrizione del maltrattante è anche influenzata dallo status dell’uomo e questo si riflette anche nelle immagini. Persiste, la rappresentazione della vittima in condizione di fragilità».

La violenza economia

«L’Italia è scesa di 16 posizioni dal 2022 nel World gender gap report: siamo all’87 posto per il divario retributivo tra uomini e donne, nel 2023 eravamo al 79esimo. Nella top ten è entrata la Spagna che ha fatto un balzo in avanti, agli ultimi posti ci sono Iran, Chad, Pakistan. Da Afghanistan e Russia non si hanno più dati. La Russia è tornata gravemente indietro, 5 anni fa, depenalizzando la violenza domestica: in pratica rivendicano il patriarcato come tratto della cultura nazionale– ha aggiunto la sociologa – e anche questo produce assimetrie nella narrazione».

I prossimi passi


L’appello di Saccà, alle (molte) giornaliste e ai (pochi) giornalisti presenti è stato di accendere un faro sul tema della violenza domestica che, come rilevato dai dati del ministero dell’Interno sui reati contro le donne, è il fenomeno più diffuso ma, anche, il meno descritto sulle nostre testate. La presidente di GiULiA giornaliste Serena Bersani nel suo intervento ha sottolineato come altri due punti critici siano le immagini e la spettacolarizzazione della violenza di genere. Ha ricordato come sia stato impossibile assegnare un premio per il contest fotografico sulla violenza di genere promosso dall’Aser perché le fotografie pervenute erano intrise di stereotipi. «Ma la mia prossima battaglia è quella sull’infotainment, due parole, informazione e intrattenimento che secondo me non dovrebbero mai stare insieme. Invece purtroppo assistiamo a ore di trasmissioni televisive che a tutte le ore fanno intrattenimento con i dettagli morbosi della cronaca nera e dei femminicidi in particolare». F.G.

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