Dal 1985 fonte e racconto di ciò che accade nelle politiche autonome delle donne, il Paese delle Donne festeggia il 30 novembre 40 anni di attività. Dal collettivo femminista redazionale Paese delle Donne nel quotidiano “Paese Sera” (1985-1987) all’ Associazione il Paese delle Donne” (1986), editrice in proprio della testata “Il foglio de il Paese delle Donne“, cartacea (1987) e on line (1997), al Premio di scrittura femminile (2000), e al sito womenews.net (2001), fino alla presenza sui social con la pagina Facebook e il canale YouTube, sempre le redazioni, le socie e la Giuria del Premio hanno garantito continuità e professionalità nel portare avanti la diversificata iniziativa giornalistica e culturale. La giornata dal titolo Il Paese delle donne (1985-2024). Un’impresa femminista, si svolgerà dalle 10 alle 20 alla Casa Internazionale delle donne, via della Lungara 19, Roma.
Mi emoziona ancora ora prendere in mano quella copia di giornale rosa che più rosa non si può, datato 14 febbraio 1995: facendo due conti erano ormai vent’anni che la mia firma usciva sui giornali, un giorno sì e l’altro pure, e oltretutto su giornali diversi perché se è vero che l’Unità era la mia casa, lo stipendio non bastava a far quadrare i conti, e collaboravo a raffica, da Panorama, a Nuova ecologia, al Radiocorriere. Ma quella era un’altra cosa…
Quel giorno sul “foglio de il paese delle donne” si parlava anche di me. Avevo partecipato a una iniziativa a Venezia su “Le donne fanno notizia”, in una gran bella compagnia, Daniela Brancati, Franca Fossati, Adele Cambria, Luciana Giambuzzi, Natalia Aspesi, Tiziana Toffelordi, Nicoletta Castagni, Lucia Visca, mentre le organizzatrici erano Franca Bimbi, Antonella Barina, Macri Puriceli e Matilde Caponi, “oltre alcuni uomini” come raccontava il giornale. Si raccontava anche che io avevo parlato di cronaca nera – è vero, una passionaccia, anche se in realtà erano già molti lustri che ero passata a scrivere di informazione e di politica – e avevo detto «come, nell’affrontare la cronaca nera, esistano due strade: l’esercizio della propria sensibilità o l’adeguamento a modelli che non sono nostri». Un tema che sarebbe diventato fondamentale, in effetti, in questi anni in cui abbiamo imparato ad occuparci del linguaggio dei giornali ed in particolare di come si scrive nei casi di violenza contro le donne.
Ma perché tanta emozione? Sarò onesta: non ho una collezione completa di ritagli di stampa. Giusto i “pro memoria” degli attacchi e delle denunce ricevute da Clemente J. Mimun o da Mario Giordano, in anni lontanissimi, o gli attacchi del Popolo che mi denigrava… E qualche bel ricordo di iniziative femministe e di donne giornaliste che ancora non sapevano (sapevamo) di essere femministe per nascita. Fra questi quella copia di giornale rosa che più rosa non si può.
Mettiamola così: le colleghe che realizzavano quel giornale nel mio sentire avevano una marcia in più. Avevano una conoscenza in più. Una idea del mondo costruita faticosamente, condivisa, e più giusta, a cui io non mi sentivo davvero pronta a contribuire. Io sarò anche stata una appassionata lettrice di Virginia Woolf e di Anaïs Nin, ma certo non bastava, e le poche volte che mi affacciavo al “Centro culturale Virginia Wolf”, al Governo Vecchio a Roma, sedevo in fondo, incerta di capire. Guardavo da dietro le quinte. La mia emozione nell’essere accolta da quelle pagine nasceva lì.
Le strade, per fortuna, poi si incontrano: con l’associazione GiULiA dal 2011 abbiamo lavorato per cercare lo spazio delle donne sui nostri giornali, le strade per valorizzarlo, gli strumenti perché il linguaggio fosse non solo corretto e rispettoso, ma che aiutasse anche a valorizzare le donne. E soprattutto il pensiero delle donne. L’idea del mondo delle donne. Abbiamo l’eredità dei movimenti femministi, abbiamo la storia dell’editoria delle donne a tracciare la strada: ora il problema è non fare passi indietro.
Ancora una volta, tutte insieme. Buon compleanno Paese delle Donne, rosa che più rosa non si può.