‘Islamabad, 28 mag – Un documentario vincitore di Premio Oscar le ritrae con il volto sfigurato dal vetriolo ricostruito dai chirurghi, nella realtà della loro vita che riassume quella di tante donne vittime dalla violenza di un marito insoddisfatto, di un fidanzato geloso o di un pretendente respinto. Ora queste donne pachistane, protagoniste di Saving Face (letteralmente, Salvando la faccia), hanno deciso di opporsi con ogni mezzo legale all”annunciata proiezione del film nel loro Paese, dove temono rappresaglie o di essere ostracizzate dalle rispettive comunità tradizionaliste. Le donne sfigurate dall”acido – scrive il quotidiano britannico Independent – affermano di aver accettato di girare dietro l”impegno che il documentario non sarebbe finito arrivato alle sale in Pakistan. Ma la regista, la pachistano-canadese Sharmeen Obaid Chinoy e lo statunitense Daniel Junge, obiettano che tutte coloro che hanno preso parte alle riprese hanno firmato moduli che autorizzavano il rilascio senza restrizioni.
Le due protagoniste principali, Zakia e Rukhsana hanno entrambe avuto la faccia distrutta dall”acido lanciato dai mariti e ricostruito in parte da un chirurgo plastico anglo-pachistano. Ma le donne che compaiono nei 40 minuti di film sono diverse: una di esse, Naila Farhat, 22 anni, sfigurata quando ne aveva 13 dall”uomo maturo che lei, allora bambina, rifiutò di sposare, ha detto al giornale: “Non avevamo idea che (il film) sarebbe stato un grande successo e vincesse addirittura un Oscar. Ma è tutto sbagliato. Noi non abbiamo mai autorizzato di mostrare la pellicola in Pakistan”. Si tratta, aggiunge Naila, di “mancanza di rispetto nei confronti delle nostre famiglie, dei miei parenti, che ne faranno un problema. Sapete come funziona in Pakistan. Si spettegola fino alla morte se vedono una donna in un film”. L”avvocato delle donne nella causa, Naveed Muzaffar Khan, afferma che l”accordo era che per l”uscita del film in Pakistan occorreva l”assenso scritto di tutte le protagoniste. Le donne, dice “vengono da un ambiente rurale e le loro famiglie saranno minacciate se si proietterà il film”.
Nella foto la regista del documentario Sharmeen Obaid Chinoy’