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L”intervento della giornalista Rai e Presidente UCSI Lazio al Congresso nazionale dell”Unione Cattolica Stampa Italiana (Caserta 27-29 gennaio 2012), dedicato a “La credibilità dell”informazione in Italia: verso un giornalismo di servizio pubblico”.Una delle parole più inflazionate di questi tempi è “crisi”. Economica, politica, sociale, ambientale, energetica, dei media. E poi della famiglia, della chiesa, della scuola, del lavoro….. Una crisi di sistema in cui sono forti i timori che il mondo stesso stia crollando, almeno nelle forme in cui l’abbiamo conosciuto . Ma proprio in momenti storici di questo tipo si annidano grandi opportunità e grandi sfide, perché nella rottura degli equilibri preesistenti che ogni crisi comporta non ci sono solo spinte di distruzione e di disgregazione, ma anche possibili germi di un futuro nuovo da costruire. Con quali risorse, e con quali protagonisti? E quali sono gli elementi del passato da traghettare verso il futuro, magari in forma nuova?
Sono domande da porsi anche come Ucsi, ponendo l’attenzione di sempre ai segni dei tempi che mutano, da cogliere e da raccontare anche attraverso il lavoro giornalistico. Anelli deboli ma anche possibili risorse in questo tempo sono i giovani e le donne, tra le categorie più preoccupate ma anche più vitali e propositive. Lo testimoniano i movimenti degli indignados in tutto il mondo, le donne italiane che nell’ultimo anno hanno dato vita a manifestazioni come quella di piazza del popolo a Roma, come Se non ora quando a Siena, come il treno della legalità per la Costituzione.
Le testimonianze più significative sono caratterizzate dallo stile del dialogo, del costruire ponti, delle alleanze possibili tra soggetti diversi ma accomunati da una comune volontà di costruire contesti e stili di vita più accoglienti e più umani, in un tempo che non richiede chiusure dentro recinti identitari, quanto piuttosto aperture rispettose delle diversità, anche quando queste riguardano le fedi religiose.
Tra i protagonisti dell’incontro interreligioso per la pace voluto da Benedetto XVI ad Assisi a 25 anni dallo storico incontro voluto da Giovanni Paolo II nel 1986 c’era anche una donna non credente, Julia Kristeva, semiologa e scrittrice che insegna a Parigi. La sua voce è stata una delle più significative. Come sfida propria dei nostri tempi ha rilanciato la necessità di “osare l’umanesimo” come “processo di rifondazione permanente” da svilupparsi attraverso “rotture che sono innovazioni”.
Nella sua riflessione la Kristeva ha proposto di non guardare alla memoria come qualcosa che riguardi il passato, poiché “La Bibbia, i Vangeli, il Corano, il Rigveda, il Tao abitano il presente”, e per poter favorire uno sviluppo e una rifondazione dell’umanesimo vanno ripresi i codici morali costruiti nel corso della storia, “rinnovandoli di fronte a nuove singolarità”.
Tra le nuove singolarità si possono comprendere anche donne e giovani, nuovi soggetti sulla scena pubblica, con le istanze che presentano. Sempre secondo la Kristeva nel nuovo umanesimo andrebbe compresa la tematica donna- madre, visto che la secolarizzazione è “la sola civilizzazione che manchi di un discorso sulla realtà della madre”. Madri capaci di prendere la parola, poichè “non ci sarà alcun nuovo umanesimo senza che le madri siano state capaci di prendere la parola”.
Le donne, ha scritto Adrienne Reich, “creeranno una nuova vita dando alla luce non solo figli ma la visione ed il pensiero necessari a modificare l’esistenza umana ”. Secondo il teologo francese Joseph Moingt le donne avranno un ruolo di primo piano anche nella chiesa del futuro, nel dibattito sulle questioni etiche, nell’espressione di una libertà creativa piuttosto che di un’obbedienza passiva, nella ricchezza che può nascere per tutti da una rilettura del Vangelo al femminile plurale. Emblematica la proposta di “introdurre nella chiesa un po’ di femminilità, a condizione di farle uno spazio in cui essa possa risplendere, versandovi quella parte di umanità troppo ridotta o mascherata da un potere esclusivamente maschile e sacro, cioè intollerante.”
Nell’analisi di Moingt “il primo problema non è dare potere alle donne”, quanto piuttosto rinnovare il terreno delle comunità cristiane, instaurandovi libertà, alterità, uguaglianza e corresponsabilità, cogestione, lasciandovi penetrare “le preoccupazioni del mondo esterno”. Vero per la chiesa ma non solo. Basterebbe sostituire alle parole “chiesa” o “comunità cristiana” le parole “società” o -pensando alla professione giornalistica- “redazione” per intravedere nuovi possibili contesti più umani per tutti. Invece capita spesso che tra i soggetti più penalizzati ci siano le donne.
Un grande sacrificio è stato appena richiesto alle giornaliste con la Riforma dell’Inpgi, che prevede per loro l’innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni, imponendo loro il contributo più pesante per salvare l’ Istituto di Previdenza. Sembra più che ragionevole la richiesta della commissione pari opportunità dell’Associazione Stampa Romana di avviare una riflessione seria su adeguate politiche di welfare a sostegno dell’occupazione femminile, della maternità, e delle carriere, anche nell’ottica di bilanciare il contributo richiesto alle giornaliste nell’ambito della previdenza per un beneficio a vantaggio dell’intera categoria (uomini e donne).
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