Attenzione: non aiutate quel bambino! Pericolo stupro | Giulia
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Attenzione: non aiutate quel bambino! Pericolo stupro

Un biglietto capitato tra le mani di Meg Kissack, co-editor di WvoN (ma che gira anche in Italia), per riflettere sulla violenza e sulla sentenza della Cassazione. [Luisa Betti]

Attenzione: non aiutate quel bambino! Pericolo stupro
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7 Febbraio 2012 - 10.42


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Mi ha fatto riflettere più lei sull’ultima sentenza della Cassazione riguardo lo stupro di gruppo ai danni di una minorenne di Cassino, che tutta la polemica che ne è scaturita. Non solo perché mi ha ricordato una risposta che già sapevo, ma che alle volte una perde di vista perché s’infila in ragionamenti arzigogolati, ma perché in effetti, e come sempre, questo non è un problema di leggi ma culturale, di una cultura che è globalmente maschilista. Inoltre la sua riflessione nasce da un biglietto che è capitato di leggere, in maniera allarmante, anche a me qui, in Italia, lo stesso che è capitato tra le mani di Meg Kissack, co-editor di WvoN.

«Mentre stavo tornando da una lezione, mi è capitato di leggere un biglietto su cui era scritto: A tutte le ragazze e le donne: se andando a casa, a scuola, in ufficio o ovunque, incontrate un bambino da solo che dice di essersi perso e in possesso di un pezzo di carta con un indirizzo scritto sopra, non lo prendete in considerazione! Portatelo direttamente alla stazione di polizia, perché questo è il modo nuovo per adescare ragazze da parte delle ‘gang’ di stupro. I casi stanno aumentando. Avvertite amici e familiari.

Come attivista che lavora sui temi della violenza contro le donne, sono abituata a leggere ogni giorno di casi orribili sulla violenza contro le donne, ma questo biglietto mi ha fatto rimanere di sasso. Come si può facilemente intuire si tratta con ogni porbabilità di una bufala, e il mio interesse non è capire se sia vero o no, perché il punto a cui voglio arrivare è un altro.

Quello che voglio sottolineare infatti è la cultura dello stupro e la normalizzazione della violenza sessuale nella cultura. Ho parlato a molte mie amiche del biglietto che avevo trovato e la loro reazione è stata quella di alzare gli occhi al cielo. Non una rezione di shock ma quasi un’accettazione scontata. Ed è qui che ho capito in profondità il problema.

Le femministe e le attiviste per i diritti umani hanno parlato a lungo di cultura dello stupro e hanno fatto campagne contro di essa per anni e anni, ma è come se non si fosse fatto nulla. La Gran Bretagna ha ancora il tasso di condanne per stupro più basso d’Europa, e le donne vittime di violenza passano ancora e spesso per offender, e tra le persone che conosco e frequento, l’idea di poter combattere con successo questa cultura si è, a mano a mano, sbiadita. Nel 2011 abbiamo assistito a un aumento dell’infiltrazione della cultura dello stupro nella vita quotidiana.

La parola “stupro” continua a essere regolarmente usata su Facebook, e poco più di un anno fa un poliziotto canadese ha detto alle studentesse di una università che se non volevano “correre il rischio di essere violentate”, non dovevano “vestirsi come puttane”. Per la polizia le donne vestite in un certo modo che bevono troppo, è normale siano violentate, e ci sono comici come Frankie Boyle che hanno continuato a usare la parola “stupro” come un intercalare delle loro battute.

Mentre la cultura dello stupro continua a diffondersi, la controffensiva femminista è la sola a farsi sentire. Il 2011 ha segnato l’anno della nascita delle SlutWalks, un movimento femminista globale nato dall’incidente in Canada che ha sfidato la cultura che ritiene la donna stuprata colpevole, e non vittima a tutti gli effetti, in quanto responsabile dello stupro che subisce. (…) E se da una parte mi rendo conto quanto sia radicata la cultura dello stupro nella nostra società, dall’altra sono fermamente convinta che il fenomeno vada affrontato, sfidato e vinto.

Ma perché questo accada, quello che dobbiamo affrontare non è facile. Per cominciare, bisogna tornare indietro, a quello che alcuni potrebbero definire come le nozioni di base e considerare ciò che costituisce lo stupro in sé. Sempre tornando con la mente ai casi di violenza sulle donne, i rapporti e le statistiche agghiaccianti provenienti dai rifugi e dai centri per le donne che subiscono violenza, ci fanno capire, prima di tutto, che abbiamo bisogno che la legge, i tribunali, riconoscano l’incitamento all’odio e la cultura della violenza su base di genere, cioè nei confronti delle donne in quanto tali. (…) Dobbiamo affrontare la nostra cultura che raffigura uomini come consumatori aggressivi delle donne oggettivate come stereotipi. (…)

Proprio questa settimana il Guardian, ha riferito come Alison Saunders, capo del Crown Prosecution Service di Londra, stia mettendo in discussione il modo in cui i media contribuiscono a costruire gli stereotipi delle donne vittime di stupro: un modo che può supportare questa cultura e portare ad assoluzioni “facili” nei confronti degli autori di stupri e violenze. Dobbiamo affrontare quindi la cultura dello stupro, e non accettarlo come evento inevitabile.

Fino a quando non avremo una società che riconosce che si tratta di stupro anche quando la donna è addormentata, o se lei cambia idea, e che una donna non è mai responsabile dello stupro che subisce, abbiamo bisogno di aprire una discussione che si estende non solo alla cultura di massa, ma che mira a cambiare il sistema giudiziario e la politica del governo».

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