«Anna Chiara provava un senso di vergogna profondo. Si sentiva sporca, così sporca da non poter guardare in faccia più nessuno. Cominciò a fantasticare di punirsi e di punirlo. Pensò che avrebbe potuto tagliarsi le vene di fronte a lui, morire in diretta, così non avrebbe più potuto ricattarla. Poi pensò che i suoi genitori avrebbero letto le sue cose sul telefono, avrebbero chiamato uno di quegli esperti che trovano le password. Sarebbero saltati fuori i video, e lei non avrebbe nemmeno potuto dare spiegazioni, per quanto assurde, stupide, incredibili. Pensò che avrebbe dovuto resistere, prendere tempo concedendogli il minimo indispensabile». Per un’adolescente del terzo millennio l’abisso ha le sembianze dello schermo di un telefonino. E il mostro che ti trascina giù nel buio ha il volto normale e qualsiasi di un adescatore online, di solito sui 30 anni, che con il sorriso sulle labbra può spezzare una vita in pochi clic. E’ il plot “banale” e terrificante insieme di “Ci vediamo in chat”, ultimo libro di Cristina Obber, scrittrice e formatrice, socia di Giulia giornaliste Lombardia, che da anni si occupa di violenza di genere su minori e tra minori e ha condotto ricerche sul campo andando nelle carceri ad ascoltare i sex offenders, anche giovanissimi.
Perché questo è il dato più allarmante: l’età media degli adescatori e dei maschi che agiscono la violenza continua ad abbassarsi, così come quella delle vittime, ragazzine tra i 10 e i 13 anni. Un dato da tenere ben presente: nel momento in cui chiunque proponga di portare l’educazione sentimentale ed emotiva all’interno delle scuole è accusato di minare la famiglia o promuovere un’immaginaria ideologia gender, la realtà è che le cose intanto peggiorano e le relazioni anche tra giovanissimi si intossicano.
E’ di poche settimane fa lo sconvolgente sondaggio di Fondazione Libellula tra i teenagers che ha svelato come per il 25% dei ragazzi tra i 14 e i 19 anni non è violenza toccare o baciare una persona senza consenso, per un terzo non c’è violenza nell’obbligare la partner a non frequentare certe amicizie o controllarle il telefono, per il 40% non lo è lo stalking digitale, il 38% dei ragazzi pensa che il no ad un rapporto sia in realtà un sì.
Il tema è caldissimo, come dimostra anche il successo della serie televisiva Nudes sul revenge porn e sextorsion ai danni anche di giovanissimi in onda su Raiplay. Nella vicenda di Anna Chiara, Obber srotola il percorso passo dopo passo di una ragazzina normale, con le sue amichette e il fidanzatino, verso la tana del lupo: l’amicizia innocente su Instagram con Viola, la fiducia concessa e tradita da “Viola che non è Viola”, la vergogna e la colpa, la difficoltà degli adulti a capire, fino alla ricostruzione di sé attraverso gli altri e la rete degli affetti.
Uno dei punti chiave è proprio la vergogna e poi il senso di colpa della protagonista, che la tiene prigioniera. Di fatto una vittimizzazione secondaria introiettata che inibisce la ribellione a quella che si configura come la forma più “aggiornata” di violenza di genere, che utilizza i nuovi mezzi digitali e per nulla viene ostacolata dagli algoritmi, concepiti per trasformare lo spazio intimo di una chat in una terra di nessuno. «Tutto era spazzatura» pensa la protagonista di sé e della sua vita, tutto è stato sporcato. Obber riesce a tenerci col fiato sospeso, come lo è Anna Chiara, fino alla risoluzione finale, positiva, ricordandoci che non si esce mai da sole da queste situazioni.
Un libro destinato a tutti dai 13 anni in su, sorta di manuale di sopravvivenza dalle insidie delle chat e dei social, utile anche agli adulti per comprendere e saper riconoscere gli indizi dell’abuso, che a Milano sarà presentato il 20 novembre ale 18 alla biblioteca Sormani con la polizia postale.
Ci vediamo in chat, di Cristina Obber, Battello a vapore, pp. 224, 16 euro.