“Anche quest’anno abbiamo letto il comunicato stampa con il quale l’Amministratore Delegato di Poste Italiane snocciola numeri e percentuali relative alla presenza delle donne nella più grande azienda italiana: abbiamo letto che il 53% della forza lavoro è donna, che tanti sono i quadri e i direttori donna, che il 60% ha meno di cinquant’anni; ci è stato raccontato che nel corso della prima guerra mondiale si ricorse alle donne per compensare i tanti dipendenti postali chiamati al fronte…” Comincia così la lettera aperta che Barbara Apuzzo, segretaria nazionale e Coordinatrice donne di Slc Cgil, invia a Massimo Sarmi, AD di Poste Italiane.
“Ecco, noi oggi vorremmo raccontare all’AD di Poste, la vita di tre di quelle 74mila lavoratrici della sua azienda. Ne abbiamo scelte tre simbolicamente, per dare il senso di ciò che comporta per loro lavorare in Poste. Donne che, nella migliore tradizione di arretramento culturale in Italia e di atavica attitudine al sacrificio da parte loro, sono pronte ad accettare qualsiasi soluzione, anche di ridimensionamento, pur di stare vicine alle loro famiglie e che, nonostante questo, non ottengono neanche risposta.”
1) Lidia: sede di lavoro a Capo d’Orlando (ME), trasferita a Prato perchè, infortunata sul lavoro, risulta attualmente inidonea al servizio di portalettere. È singolare che non si tiene neanche conto del fatto che, secondo quanto previsto dalla Legge 104 (che regola il diritto a permessi per assistere familiari con handicap), le dovrebbe essere garantita la possibilità di assistere la madre invalida. Ha presentato la sua richiesta nell’aprile 2011.
2) Angela: moglie di un militare in missione in Libano, viveva a Bronte ed è stata trasferita ad Udine. Chiede da ottobre del 2011 di trovare qualsiasi soluzione pur di riavvicinarsi ai suoi bambini di 4 anni e 13 mesi, che attualmente vivono senza entrambi i genitori. Il più piccolo non la riconosce più, dal momento che lei, pur di non perdere la propria posizione nella graduatoria per la mobilità nazionale, evita di mettersi in permesso, rinunciando pertanto per mesi interi a vedere e seguire i suoi figli.
3) Tiziana: lavora in Lombardia e chiede dal 19 gennaio 2010 di tornare in Toscana, dove l’aspettano il marito invalido al 100%, in carrozzella, il figlio di 3 anni, entrambi titolari di Legge 104.
“Da queste storie – prosegue la sindacalista – l’azienda dovrebbe trarre una lezione sulla reale situazione delle proprie lavoratrici, perché non basta che Poste Italiane sia un’azienda che ha firmato protocolli d’intesa sulle questioni di genere, sulle pari opportunità, in cui i bollini rosa abbondano. Sappiamo tutto questo perché abbiamo contribuito a creare tali strumenti. Ma sappiamo altrettanto bene che restano quasi sempre lettera morta. E’ il caso delle centinaia di lavoratrici che, nonostante l’ultima “conquista” contrattuale non riescono ad ottenere neanche il distacco per allattamento, se lavorano in una regione diversa da quella di residenza: l’allattamento vale solo per le donne residenti nella stessa regione in cui lavorano. Così come sappiamo che l’unico asilo nido aziendale non risolve i problemi delle mamme, che da Belluno a Lampedusa non sanno dove lasciare i propri figli durante l’orario di lavoro.”
“Le confezioni sono belle, ma forse è arrivato il momento di concentrarci sui contenuti – conclude la Apuzzo. A chi si vanta di possedere un’etica al di sopra della media e un’attenzione particolare alle questioni di genere e di pari opportunità chiediamo semplicemente di utilizzare gli strumenti concordati con il sindacato, ribadendo quanto detto in occasione dell’8 marzo 2011: bene sui numeri, ma si lavori sulla qualità.”