A Roma la prima marcia dell'orgoglio lesbico transfemminista, migliaia da tutta Europa e dall'Asia centrale | Giulia
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A Roma la prima marcia dell'orgoglio lesbico transfemminista, migliaia da tutta Europa e dall'Asia centrale

Si è svolta nella Capitale la prima Dyke March italiana, promossa dalla rete El*C, rete internazionale che si è riunita a Roma per la quarta conferenza internazionale del movimento con oltre 700 delegate. Al centro i diritti e anche il linguaggio "transinclusivo".

A Roma la prima marcia dell'orgoglio lesbico transfemminista, migliaia da tutta Europa e dall'Asia centrale
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Rosa Leanza Modifica articolo

1 Maggio 2025 - 20.14


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Si è svolta per la prima volta in Italia, a Roma, la quarta conferenza mondiale dall’EL*C – Eurocentralasian Lesbian* Community , la rete lesbica, transfemminista e intersezionale che riunisce lesbiche provenienti dall’Europa e dall’Asia centrale. A conclusione dei lavori, che si sono svolti tra il 23 e il 26 aprile, si è tenuta anche la prima Dyke March1 italiana, la marcia dell’orgoglio lesbico a cui hanno partecipato migliaia di persone.

Oltre 700 attiviste di diverse delegazioni, dal Portogallo al Kazakistan, passando per la Francia e l’Ungheria, hanno affollato la Casa Internazionale delle donne nella serata di inaugurazione, per poi spostarsi in un albergo della zona nord-ovest della capitale. Al centro il tema della “visibilità” e le strategie politiche per superare censura e repressione delle destre europee, che negano i diritti alle comunità LGBTQI+. I lavori si sono aperti  al grido «Siamo tutte antifasciste» e il 25 aprile si è cantato Bella ciao.

I lavori della conferenza.

La prima edizione della conferenza auto-organizzata si era tenuta a Vienna nel 2017, la seconda nel 2019 a Kiev in Ucraina e l’ultima nel 2022, dopo gli anni del Covid, a Budapest. Era stato progettato di svolgere la quarta edizione della conferenza in Kazakistan ma le difficoltà politiche ed economiche sono state insormontabili.
Infine, spiega Silvia Casalino, co-direttrice di EL*C, la decisione è caduta su Roma, perché in questo momento il governo italiano sta esercitando una pressione continua sui diritti delle lesbiche, come dimostrano il tentativo persistente da parte delle Procure di rimuovere il nome della madre non biologica dal certificato di nascita dei figli di famiglie omogenitoriali.

Sull’uso dell’asterisco aggiunto alla parola “Lesbian” nel nome della rete, è ancora Silvia Casalino a spiegarne il senso: «La parola Lesbian è un termine che include tutte le donne lesbiche, bisessuali e queer, sia cisgender che trans, e non binarie. Quando abbiamo deciso di metterci insieme a lavorare su questo progetto ci sono state molte discussioni sulla questione del come fare per integrare le persone trans nel movimento LGBTIQI+ perché le lesbiche erano accusate di essere separatiste e di non volere le persone trans. Per premunirci da ogni accusa abbiamo voluto tenere la parola lesbica in modo visibile e con l’asterisco nel titolo, per affermare che tutte le persone che si riconoscono politicamente come lesbiche, possono fare parte del movimento a prescindere dagli organi sessuali di nascita».

«Bringing the lesbian genius to the world», questo l’obbiettivo del progetto, ossia «Portare nel mondo il genio delle lesbiche» ed il loro contributo alla cultura ed alla società attraverso visibilità, autodeterminazione ed autonomia.

Ma gli ostacoli sono ancora molti, come  testimoniano  i racconti che arrivano dai paesi ex-sovietici. Mariam Kvaratskhelia dalla Georgia ha raccontato come «Il governo autoritario stia calpestando i nostri diritti e  ci criminalizza adottando lo stile russo di propaganda anti LGBTQI+».
Nel racconto di un’altra delle attiviste georgiane presenti alla conferenza, Mari Kurtanidze, «la resistenza è sotterranea e non è visibile sui social per motivi di sicurezza. Momenti come questo ci danno forza per le sfide che ci attendono in futuro, riporterò alle compagne la forza per resistere alla repressione, attinta da questi momenti di intenso scambio, per una nuova ispirazione sostenuta dal senso di comunità che questi incontri ci donano».

In Kazakistan è vietato organizzare manifestazioni per l’otto marzo e due attiviste del posto, insieme a  Gulzada Serzhan di EL*C, sono state arrestate e messe in prigione per aver protestato contro il femminicidio compiuto dall’ex ministro dell’economia. 

È la scrittrice iraniana Shadi Amin a ricordare come in Iran le lesbiche siano condannate all’invisibilità, punite, picchiate e in pericolo di vita.

«In Ucraina– dice Oleina Shevchenkostiamo lottando per il paese e siamo volontarie nell’esercito. Per me l’attivismo non è solo sopravvivenza personale ma una lotta per le future generazioni, per vivere liberamente, per amare alla luce del sole ed essere felici e senza paura».

Un momento della Dyke March il 26 marzo.

La tre giorni è stata organizzata tenendo presenti le esigenze di accessibilità, rimuovendo le possibili barriere in senso fisico e non solo. Con la volontà di essere inclusive ed intersezionali tra etnie, classe, disabilità, età, identità di genere. Le particolari condizioni che hanno coinvolto la Capitale, con il lutto nazionale e i funerali di papa Francesco, hanno relegato la prima Dyke March in periferia. La breve ma rumorosa parata nel quartiere di Centocelle è stata comunque un momento importante. Tanti gli interventi dal palco allestito per l’occasione. Prossimo appuntamento a Lesbo in Grecia.

  1. Dyke significa lesbica in inglese in senso gergale e dispregiativo, ma il movimento lesbico se n’è appropriato capovolgendone il significato. ↩︎
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