E' allarme rosso per il pluralismo di genere nei media italiani

l’Italia è al terzultimo posto per l’eguaglianza di genere nei media, che è uno dei venti indicatori che concorrono al punteggio finale sullo stato del pluralismo dell’informazione. contenuto nell'ultima edizione del Media Pluralism Monitor. Ne scrive per GiULiA una delle curatrici, Roberta Carlini.

E' allarme rosso per il pluralismo di genere nei media italiani
Foto di Markus Winkler su Unsplash
Preroll AMP

Roberta Carlini Modifica articolo

9 Luglio 2025 - 11.05


ATF AMP

Di recente, mi è capitato di ricevere un invito ad assistere alla presentazione di un libro sul futuro del giornalismo. Vista la composizione del dibattito – autore e partecipanti alla tavola rotonda, 6 uomini – ho risposto “è bello apprendere che il giornalismo ha un futuro. Meno confortante apprendere che tale futuro è, indiscutibilmente, maschio”. L’evidenza aneddotica sulla disparità di genere nei media  –  che si accumula di giorno in giorno, ed è arrivata fino alla messa in onda di un talk sull’aborto animato da soli uomini – è confermata dai risultati del Media Pluralism Monitor, uno strumento scientifico che applicando lo stesso metodo misura lo stato del pluralismo dell’informazione nei ventisette Paesi dell’Unione europea a in cinque Paesi candidati. I risultati di tale rapporto sono utilizzati dalla Commissione europea, insieme ad altre evidenze, per stilare il suo Rapporto annuale sullo stato di diritto, appena pubblicato. In breve, i risultati dicono che l’Italia è al terzultimo posto per l’eguaglianza di genere nei media, che è uno dei venti indicatori che concorrono al punteggio finale sullo stato del pluralismo dell’informazione. Quando poi si va a vedere tale punteggio finale, l’Italia si trova in una non onorevole metà classifica, al quindicesimo posto sui 32 Paesi analizzati.

Top Right AMP

Figura 1. Classifica generale. I rischi per il pluralismo dell’informazione – MPM2025

I numeri indicati nella figura devono essere letti come livelli di rischio, e sono calcolati usando la metodologia del Media Pluralism Monitor che attribuisce ad ogni Paese un livello di rischio che può andare da molto basso (verde brillante) a molto alto (rosso scuro). Questi livelli-colori a loro volta risulta da un lungo processo di raccolta dati, sulla base di un questionario composto da 200 domande divise in 20 indicatori e 4 aree (le aree sono: Protezione fondamentale, Pluralismo di mercato, Indipendenza politica e Inclusione sociale); alla raccolta e analisi dei dati, fatta per ogni Paese da un gruppo di ricercatori, segue la loro verifica da parte del gruppo di ricerca del Centre for Media Pluralism and Media Freedom dell’Istituto Universitario Europeo; poi la loro analisi e infine “trasformazione” in numeri, con un calcolo basato su una formula statistica (tutto è spiegato qui, nel capitolo Methodology).

Dynamic 1 AMP

La nostra posizione di metà classifica non deve essere considerata come una soddisfacente via di mezzo: nella metodologia del MPM, il fatto che ci sia un livello di rischio medio (diviso in: medio-basso e medio-alto), è già un segnale di allarme, indica che qualcosa non va nel sistema dell’informazione e che si deve intervenire. Inoltre, va notato che il livello di 51% è superiore alla media dell’Unione europea (che è 49%, ed è sua volta trainata in alto da Paesi di più recente ingresso nella UE,  come tutto l’est europeo). Inoltre, come ricordano gli autori del Rapporto italiano di MPM, questa situazione dura da molti anni e non ci sono segnali di miglioramento; al contrario, per alcuni indicatori si evidenzia un peggioramento.
Questa situazione deriva da molti fattori che conosciamo bene e di cui parliamo spesso, senza tuttavia che si ponga mano a qualche soluzione; e da altri fattori dei quali sappiamo e parliamo meno.

Partiamo dai numeri. Di seguito, i risultati del MPM per tutte le aree, ciascuna delle quali contiene cinque indicatori.

Figura 2. Italia. Tutela dei diritti fondamentali – livello di rischio per indicatore – MPM2025

Dynamic 1 AMP

Figura 3. Italia. Pluralismo di mercato – livello di rischio per indicatore – MPM2025

Figura 4. Italia. Indipendenza politica  – livello di rischio per indicatore – MPM2025

Figura 5. Italia. Inclusione sociale – livello di rischio per indicatore – MPM2025

Dynamic 1 AMP

Se si guarda alla media delle aree, quella con il risultato peggiore è il Pluralismo di mercato, soprattutto a causa dell’elevata concentrazione della proprietà dei media: questo è uno dei problemi noti, dai tempi del “duopolio” Rai-Fininvest, scalfito ma non ancora superato, anche considerando il fatto che la presenza della tv tradizionale nella dieta mediatica degli italiani, soprattutto più anziani, è ancora alta. Insieme alla concentrazione della proprietà dei media, va segnalata la ancora più alta concentrazione dei mercati digitali, con il ruolo dominante delle piattaforme online – che si traduce in un’elevatissima concentrazione delle risorse della pubblicità online, e nel fatto che ormai Google e Meta sono ormai a pieno titolo ai vertici del SIC, il sistema integrato delle comunicazioni, ossia il vasto paniere utilizzato dal legislatore italiano per misurare la concentrazione di mercato. Tutto ciò si traduce in meno risorse per i mezzi di informazione, e anche in rischi legati all’autonomia editoriale da pressioni degli inserzionisti e dei proprietari, e alle caratteristiche della struttura proprietaria dei principali mezzi informazione in Italia, molto spesso caratterizzata da commistioni con altri interessi economici, a volte dipendenti dall’intervento pubblico (e qui già entriamo nei rischi meno evidenti, o meno segnalati nel discorso pubblico, con la notevole eccezione di alcuni osservatori come la newsletter settimanale del Post sul giornalismo).

Ma va detto che gli indicatori della concentrazione di mercato sono a livelli alti o molto alti in quasi tutti i Paesi analizzati dal MPM. Quel che contraddistingue l’Italia, invece, sono gli altri indicatori “in rosso”: l’indipendenza del servizio pubblico, e l’eguaglianza di genere nei media. Sulla prima, gli autori del report italiano notano che “Per il sistema dei media italiano, una delle questioni più̀ critiche è senza dubbio quella dell’indipendenza dei media di servizio pubblico, classificata con un livello di rischio elevato. Questo livello di rischio deriva da carenze normative e dalle prassi conseguenti, nonché́ da specifici casi di preoccupazione osservati nel corso del 2024”, si legge nel rapporto sull’Italia. L’indipendenza della Rai dalla politica non è garantita a causa di deficienze strutturali – i criteri per la nomina dei vertici aziendali e giornalistici, e l’autonomia di bilancio – e anche di prassi che sono andate via via peggiorando. Il Rapporto ricorda episodi di censura dello scorso anno, e anche il tentativo del governo di modificare le regole sulla presenza dei politici in tv durante le campagne elettorali: «Durante la campagna per le elezioni europee, la maggioranza ha cercato di modificare le regole della par condicio per permettere candidati membri dell’esecutivo di apparire quasi senza limiti sui media se avessero promosso le loro attività istituzionali: la proposta è stata oggetto di molte critiche e l’AGCOM ne ha limitato gli effetti».  

Dal punto di vista normativo, una novità è all’orizzonte: poiché «le procedure di nomina non sembrano idonee a garantire l’indipendenza degli organi di governo della Rai, come richiesto dall’art. 5, comma 2, dell’EMFA» la nuova legge europea sui media che diventa operativa dall’8 agosto 2025: dunque, tra poche settimane il sistema italiano dovrà essere valutato, e potrà essere sanzionato, alla luce del rispetto della legge europea.

Dynamic 1 AMP

Passando all’ultimo indicatore “in rosso”, eccoci al record, al rischio valutato all’83% per l’eguaglianza di genere nei media. Il più alto di tutti, e – come si diceva – paragonabile in Europa solo a pochi altri: Repubblica Ceca e Turchia, che hanno un livello di rischio molto alto per questo indicatore, e  Slovacchia, al margine estremo del rischio alto, insieme a noi. La media dei Paesi dell’Unione europea per questo indicatore è 60%.

Figura 6. Classifica generale. Eguaglianza di genere nei media – MPM2025

È bene entrare nel dettaglio della composizione di questo indicatore, dato il risultato abbastanza clamoroso – tanto più considerando che la presenza ormai paritaria delle donne nella professione giornalistica, e anche il loro contributo sul campo, a partire dal ruolo delle inviate di guerra. Nell’indicatore sull’Eguaglianza di genere nei media, il MPM misura la presenza delle donne nei ruoli apicali del servizio pubblico e delle aziende editoriali private, e la percentuale femminile nelle direzioni giornalistiche; a questi dati aggiunge una valutazione più qualitativa, sulla rappresentazione delle donne nei media: se le donne sono presenti come commentatrici ed esperte, e se la loro rappresentazione nei contenuti mediatici è libera da stereotipi.  I problemi vengono da tutti questi sub-indicatori, ma con un ordine ascendente, che va da un rischio più contenuto per la governance delle aziende private (dove è in vigore la legge sulle quote di genere nei cda delle società quotate), che sale per il servizio pubblico, che vede due donne su 7 membri del cda; ma soprattutto, il punteggio peggiore arriva dai dati sulle direzioni giornalistiche e dalla rappresentazione delle donne nei media. Nella Rai, «non si registra alcuna presenza femminile tra i direttori delle testate giornalistiche aziendali; sui 12 canali radiofonici RAI, solo 3 sono diretti da donne; e delle 15 strutture aziendali dedicate alle tematiche di genere, soltanto 2 vedono una direzione affidata ad una donna». Non va meglio nei quotidiani, tra i quali  «si contano soltanto tre direttrici responsabili: Agnese Pini, alla guida delle testate del gruppo Monrif pubblicate sotto la testata Quotidiano Nazionale (La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino), e Nunzia Vallini, direttrice del Giornale di Brescia. Insieme, rappresentano solo 2 dei 35 incarichi direttivi di vertice nelle redazioni nazionali. Fino a settembre 2024, anche Il Secolo XIX era diretto da una donna (Stefania Aloia), ma a seguito del cambio di proprietà, è stato nominato Michele Brambilla come nuovo direttore responsabile». Tra i nuovi media digitali non si registrano eccezioni di rilievo. Quanto alla  rappresentazione delle donne nei media, la buona notizia è che si è registrato «un significativo incremento del tempo dedicato alle donne nei programmi radiofonici e televisivi, passato dal 16,1% nel 2022 al 32,8% nel 2023. Questo aumento sostanziale è stato in gran parte determinato dalla visibilità di due leader politiche donne, rappresentanti rispettivamente la forza di maggioranza relativa (Giorgia Meloni) e del principale partito di opposizione (Elly Schlein)», scrivono gli autori del Rapporto italiano citando i dati di AGCOM per il 2024.

Dynamic 1 AMP

Dunque, la disparità di genere nei media è la più evidente tra le spie rosse che i Rapporto del Media Pluralism Monitor accende sullo stato dell’informazione in Italia. Insieme ad altre, che sono importanti e preoccupanti: le intimidazioni ai giornalisti, crescite del 16% nel 2024; la mancata riforma della diffamazione e la crescita delle querele temerarie contro i giornalisti, anche da parte di esponenti del governo; il ritardo nella trasposizione della direttiva anti-SLAPP; le nuove regole restrittive del diritto di cronaca in campo giudiziario; il clamoroso caso di spionaggio ai danni di giornalisti; la crisi economica del media e la precarietà lavorativa dei giornalisti; la mancata riforma del conflitto di interessi; la bassa alfabetizzazione mediatica degli italiani e la debolezza di politiche attive per migliorarla.

Tutti i dettagli e le fonti sono nel Rapporto, e i confronti tra l’Italia e gli altri Paesi possono essere a portata di clic in questa mappa interattiva. Quel che è più importante: la metodologia del MPM si basa su una visione olistica del pluralismo dell’informazione, nella quale tutti gli elementi e i fattori – legali, sociali, economici – concorrono al risultato finale. Sta alla ricerca e al dibattito pubblico anche indagare le loro correlazioni: per esempio  per capire se l’assenza delle donne nei vertici dei media e la rappresentazione sessista che ancora vi domina sia, oltre che un problema per il pluralismo in sé, anche un segno del lunghissimo ritardo del mondo dei media nel  prendere atto dei cambiamenti della realtà che dovrebbero raccontare.

  • Chi scrive è parte del team di ricerca del Centre for Media Pluralism and Media Freedom dell’European unievrsity Institute, che da dieci anni applica il Media Pluralism Monitor; mentre il report italiano di quest’anno è stato realizzato da tre studiosi dell’università di Milano Bicocca, Giulio Enea Vigevani, Nicola Canzian e Marco Cecili.
FloorAD AMP
Exit mobile version